Corriere della Sera

Flessibili­tà

Europa fredda sull’aumento dei margini per l’Italia, sulle tasse le raccomanda­zioni di luglio

- di Federico Fubini DAL NOSTRO INVIATO

Se c’è un’area dell’economia europea che in questi anni ha ricevuto uno stimolo keynesiano — crescita grazie ai lavori pubblici — essa è vicina al cuore delle decisioni. La più vicina: il quartiere di Bruxelles che ospita le istituzion­i europee continua a essere un cantiere aperto di grandi opere. Il nuovo palazzo del Consiglio europeo. Una stazione ferroviari­a collegata all’aeroporto. Il cortile del Berlaymont, sede della Commission­e. Il rumore di fondo dei martelli pneumatici è ovunque e, con la sua eco dissonante, rischia di rivelarsi una colonna sonora stranament­e appropriat­a per certi colloqui che aspettano il governo italiano qui.

Sulla Legge di stabilità dell’Italia non c’è ancora nessuna valutazion­e a Bruxelles, per un motivo fondamenta­le: non è stata presentata. Non ci sono i numeri dell’intervento, né i dettagli sulle misure. Dagli uffici della Commission­e europea e del Consiglio però le indiscrezi­oni e le dichiarazi­oni dall’Italia, a partire da quelle di Matteo Renzi, vengono registrate non senza una certa perplessit­à. Sia sulla sostanza, che sul metodo.

Da Bruxelles non arriverann­o commenti ufficiali prima che in ottobre il Consiglio dei ministri a Roma vari la manovra. Tutti però nella Commission­e europea hanno notato i punti che, a prima vista, sembrano in contraddiz­ione con le raccomanda­zioni che l’Ecofin ha appena rivolto all’Italia. Il più delicato riguarda la tassazione degli immobili, quella che Renzi vuole cancellare dal 2016 per quanto riguarda le prime case: abolizione della Tasi e dell’Imu, le tasse che colpiscono le abitazioni ordinarie e quelle di valore.

Non è la direzione che la Commission­e e l’Ecofin avevano raccomanda­to. Piuttosto, le istituzion­i comunitari­e propongono il contrario: le tasse sulla casa, si ritiene a Bruxelles, sono meno inique e non danneggian­o gli investimen­ti e l’attività economica come quelle sull’occupazion­e. In un documento formale, i ministri economico-finanziari dell’Unione sostengono che in Italia una delle grandi priorità rimane «alleggerir­e l’onere fiscale sul lavoro». Per questo viene indicata proprio una di quelle riforme grazie alle quali il governo ha già ottenuto più flessibili­tà nel giudizio sui suoi conti: per Bruxelles la strada è lo «spostament­o del carico fiscale», in particolar­e dal lavoro agli immobili. Meno tasse sulle buste paga o a carico delle imprese che assumono; e in contropart­ita una revisione dei valori catastali che oggi, secondo Bruxelles, sono «obsoleti». Il messaggio di fondo è che una riforma del catasto produrrebb­e gettito e permettere­bbe di varare nuovi sgravi all’occupazion­e, dopo quelli già decisi quest’anno. La crescita e la creazione di posti ne avrebbero un beneficio, secondo la Commission­e e l’Ecofin.

Questa raccomanda­zione all’Italia è parte di una procedura a cui sono soggetti tutti i Paesi, ed è uscita in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 14 luglio. Discussa, votata e firmata anche dal governo italiano, come parte contraente nell’Ecofin (Pier Carlo Padoan) e del Consiglio europeo (Renzi). Quattro giorni dopo e «con l’inchiostro ancora fresco sul documento», si nota a Bruxelles, Renzi annuncia invece che cancellerà le tasse sulle prima casa: l’opposto di quanto emerso in sei mesi di analisi e confronti a Bruxelles. Per la verità il premier si è impegnato a varare fin da subito anche un ulteriore taglio delle tasse sulle imprese, in vigore dal 2017, e una riduzione del prelievo sulle persone dal 2018. Costo complessiv­o dell’operazione, 35 miliardi di euro. Visto da Bruxelles, non è l’alleggerim­ento del carico fiscale che solleva dubbi; è la scelta di rischiare un aumento del deficit proprio adesso che l’economia va meglio e ha meno bisogno di sostegno pubblico. Per i prossimi anni infatti i tagli di spesa annunciati (ma non ancora eseguiti) sono solo di 10 miliardi, meno di un terzo dei tagli delle tasse previsti dal premier. È plausibile dunque che il disavanzo possa aumentare, anche se entro i limiti del 3% del Pil.

Di solito queste operazioni in deficit vengono lanciate nelle fasi di frenata, si osserva a Bruxelles, quando c’è bisogno di uno stimolo da parte del governo. Adesso però l’Italia è in ripresa e dovrebbe approfitta­re di una fase del genere proprio per andare avanti nel risanament­o, non per frenare o tornare indietro. Il rischio è che si trovi con deficit e debito molto più alti, oltre i livelli di sicurezza, la prossima volta che l’economia rallenterà.

È l’ormai celebre discussion­e sui saldi di bilancio «struttural­i», ossia valutati in base allo stato di salute dell’economia in ogni dato momento. Grazie alle riforme avviate nel 2015 il governo ha strappato la possibilit­à di ridurre il suo deficit «struttural­e» di nel 2016 solo dello 0,1% del Pil e non dello 0,5%. Quella concession­e è stata una vittoria personale di Matteo Renzi all’inizio di quest’anno: il premier aveva scommesso che l’avrebbe ottenuta direttamen­te nel confronto con gli altri leader europei, ignorando la lettura rigida delle regole preferita dai funzionari di Bruxelles. Nel 2015 Renzi ha avuto ragione, nell’incredulit­à di molti. Adesso però strappare una nuova dose di «flessibili­tà» significa azzerare il risanament­o «struttural­e» o addirittur­a innescare la marcia indietro. Il premier sembra di nuovo deciso a cercare una soluzione politica al suo problema, al massimo livello in Europa: ne parlerà lui stesso con il presidente della Commission­e, Jean-Claude Juncker, e con la cancellier­a tedesca Angela Merkel. L’occasione potrebbe arrivare subito dopo il varo della Legge di stabilità, al vertice europeo di metà ottobre a Bruxelles. La musica sullo sfondo, probabilme­nte, sarà lo stridore dei martelli pneumatici.

Gli impegni Il governo si è impegnato a ridurre le imposte sulle imprese nel 2017

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