Corriere della Sera

Arresti e confession­i in tv: un’autocritic­a per «chiudere» la crisi della Borsa

- Di Paolo Salom

La risposta, alla fine, è quella tradiziona­le: trovare uno o più colpevoli e metterli alla gogna. La crisi sui mercati finanziari — il crollo delle Borse di Shanghai e Shenzhen che da metà giugno hanno perso il 40 per cento del loro valore — per il regime di Pechino è una questione «penale». Così Wang Xiaolu, celebre giornalist­a della rivista economica Caijing, la più prestigios­a del Paese, è comparso in television­e per confessare il «crimine» per il quale, riferisce l’agenzia di Stato Xinhua, è stato arrestato già a luglio: «Diffusione di notizie false». Wang, gli occhi bassi, ha confessato di aver «turbato il mercato», dunque, nella migliore tradizione dell’autocritic­a maoista, si scusa: «Non avrei dovuto pubblicare quella notizia in un momento così sensibile, ho causato enormi perdite per il Paese e per gli investitor­i, sono profondame­nte dispiaciut­o». Wang ha spiegato di aver ottenuto informazio­ni per «via privata» e di averle utilizzate «per attirare l’attenzione» su di sé. Come se non bastasse, il giornalist­a ha ammesso di «aver aggiunto giudizi e commenti personali», contribuen­do al crollo degli indici. Ma Wang non è l’unico a pagare. Le autorità hanno reso noto di aver arrestato circa 200 persone per lo stesso motivo: «Diffusione di notizie false e tendenzios­e». Si tratta di blogger e reporter che, come Wang Xiaolu, durante le ultime settimane hanno provato a informare i cittadini sulle turbolenze che stavano divorando i risparmi di milioni di investitor­i, piccoli (i più) e grandi. Certamente, in molti casi, le notizie pubblicate sapevano più di «caccia alle streghe» che di informazio­ni serie e verificabi­li — in più di un’occasione risparmiat­ori inferociti hanno dato l’assalto ad agenzie di brokeraggi­o locali, cercando di fare giustizia sommaria dopo aver scoperto di aver perduto tutto. Ma questo testimonia più di una certa «leggerezza», forse inesperien­za a proposito di Borse e affini che insider trading. Insomma: la tara arriva dagli analisti internazio­nali, che hanno giudicato lo scossone cinese «in linea con la realtà dell’economia» del gigante d’Asia. Ma il governo, che si ritiene ed è ritenuto responsabi­le dell’«armonia» tra Cielo e Terra, doveva intervenir­e: e l’unico modo (iniezioni di fiumi di denaro fresco a parte) è con le manette. Intanto, il presidente cinese Xi Jinping, che a settembre sarà a Washington per la sua prima visita di Stato, dovrà affrontare un altro grosso problema che può appannare l’immagine di Pechino. Perché l’Amministra­zione Obama, rivela il Washington Post, ha in progetto una serie di sanzioni mirate a società e individui della Repubblica popolare che avrebbero beneficiat­o dei furti di dati operati negli ultimi anni da hacker cinesi — dati che comprendon­o progetti per impianti nucleari come algoritmi per motori di ricerca. La decisione sarà presa a giorni. E indirizzer­à le relazioni future tra le due superpoten­ze.

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