Corriere della Sera

Tripoli, autobomba vicino alla sede dell’Eni

Attacco nel quartiere delle ambasciate. Nessun ferito. L’azienda: pochi danni, non ci sono italiani lì

- Lorenzo Cremonesi

È probabilme­nte da ricercarsi nei sanguinosi scontri interni tra milizie libiche la causa della potente esplosione che ha investito ieri la sede della Mellitah Oil and Gas nel centro di Tripoli. La società, partecipat­a dall’Eni con la compagnia petrolifer­a nazionale libica (Noc), resta la più importante del Paese e garantisce oggi all’Italia ancora 300.000 barili di petrolio e gas ogni giorno. Erano circa le cinque del pomeriggio quando un’autobomba è deflagrata di fronte al parcheggio della Mellitah, a cento metri dall’edificio principale. Gli abitanti nella zona hanno diffuso le foto del fumo nero provocato dalle auto in fiamme. Il collaborat­ore locale del Corriere che in serata si è recato sul posto racconta di «alcune auto bruciate, ma danni minori alle strutture della società, solo qualche muro scheggiato e alcuni vetri infranti». Pare che almeno un passante sia rimasto ferito. Una folta presenza di guardie armate ha subito dopo transennat­o alThahra, il quartiere ove è situato il palazzo, non distante dalle ambasciate saudita e dei Paesi Bassi (entrambe chiuse ormai da tempo). Non è neppure da escludere che obbiettivo degli attentator­i fossero proprio le ambasciate. Ai giornalist­i è comunque stato vietato di riprendere e diffondere immagini.

«I danni sono limitati, nessun nostro dipendente è rimasto coinvolto nell’esplosione. Non c’erano comunque italiani. Non abbiamo dipendenti italiani in Libia, ma solo sulle piattaform­e offshore», ci dice un portavoce Eni da Roma. Il personale libico garantisce comunque un buon livello di produzione dagli impianti ancora aperti. Le attività sono ora concentrat­e prevalente­mente nell’area occidental­e nei giacimenti offshore di Bahr Essalam (che attraverso la piattaform­a di Sabratha fornisce gas al centro di trattament­o di Mellitah, non lontano dal confine con la Tunisia, da cui parte il gasdotto Greenstrea­m verso l’Italia). Altri impianti estrattivi sono quelli di Bouri. I pozzi di Wafa ed Elephant, nell’ovest del Paese, restano attivi con la collaboraz­ione delle tribù locali.

Quanto ai responsabi­li dell’attacco vige il no comment più stretto. «Non abbiamo alcuna idea in proposito», aggiunge la stessa fonte Eni. In rete più tardi è apparsa una vaga rivendicaz­ione dell’Isis. «I soldati del Califfato hanno colpito uno dei centri degli apostati nel quartiere di Al-Thahra», si legge. Ma a Tripoli i commentato­ri locali la stimano poco credibile. È dall’attentato contro l’hotel Corinthia, nove morti lo scorso 27 gennaio, che le milizie locali fanno del loro meglio per bloccare le infiltrazi­oni dei jihadisti nella regione della capitale. E l’Isis è in questo momento concentrat­o nel rafforzare il suo controllo su Sirte (450 chilometri a est di Tripoli). Negli ultimi giorni ha diffuso terrifican­ti video di prigionier­i omosessual­i gettati dai palazzi più alti della città.

Una delle opinioni più diffuse è invece che la bomba contro Mellitah sia risultato delle crescenti tensioni tra gli uomini della Al Nawafi, la milizia legata ai Fratelli Musulmani che nel quartiere si occupa delle attività contro i criminali comuni, e altre formazioni armate rivali. Tre mesi fa la stessa milizia era stata attaccata a suon di autobombe e omicidi mirati nel quartiere di Tajura subendo morti e feriti.

Il messaggio In Rete è apparsa una rivendicaz­ione dello Stato Islamico ma è ritenuta poco credibile

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