Tripoli, autobomba vicino alla sede dell’Eni
Attacco nel quartiere delle ambasciate. Nessun ferito. L’azienda: pochi danni, non ci sono italiani lì
È probabilmente da ricercarsi nei sanguinosi scontri interni tra milizie libiche la causa della potente esplosione che ha investito ieri la sede della Mellitah Oil and Gas nel centro di Tripoli. La società, partecipata dall’Eni con la compagnia petrolifera nazionale libica (Noc), resta la più importante del Paese e garantisce oggi all’Italia ancora 300.000 barili di petrolio e gas ogni giorno. Erano circa le cinque del pomeriggio quando un’autobomba è deflagrata di fronte al parcheggio della Mellitah, a cento metri dall’edificio principale. Gli abitanti nella zona hanno diffuso le foto del fumo nero provocato dalle auto in fiamme. Il collaboratore locale del Corriere che in serata si è recato sul posto racconta di «alcune auto bruciate, ma danni minori alle strutture della società, solo qualche muro scheggiato e alcuni vetri infranti». Pare che almeno un passante sia rimasto ferito. Una folta presenza di guardie armate ha subito dopo transennato alThahra, il quartiere ove è situato il palazzo, non distante dalle ambasciate saudita e dei Paesi Bassi (entrambe chiuse ormai da tempo). Non è neppure da escludere che obbiettivo degli attentatori fossero proprio le ambasciate. Ai giornalisti è comunque stato vietato di riprendere e diffondere immagini.
«I danni sono limitati, nessun nostro dipendente è rimasto coinvolto nell’esplosione. Non c’erano comunque italiani. Non abbiamo dipendenti italiani in Libia, ma solo sulle piattaforme offshore», ci dice un portavoce Eni da Roma. Il personale libico garantisce comunque un buon livello di produzione dagli impianti ancora aperti. Le attività sono ora concentrate prevalentemente nell’area occidentale nei giacimenti offshore di Bahr Essalam (che attraverso la piattaforma di Sabratha fornisce gas al centro di trattamento di Mellitah, non lontano dal confine con la Tunisia, da cui parte il gasdotto Greenstream verso l’Italia). Altri impianti estrattivi sono quelli di Bouri. I pozzi di Wafa ed Elephant, nell’ovest del Paese, restano attivi con la collaborazione delle tribù locali.
Quanto ai responsabili dell’attacco vige il no comment più stretto. «Non abbiamo alcuna idea in proposito», aggiunge la stessa fonte Eni. In rete più tardi è apparsa una vaga rivendicazione dell’Isis. «I soldati del Califfato hanno colpito uno dei centri degli apostati nel quartiere di Al-Thahra», si legge. Ma a Tripoli i commentatori locali la stimano poco credibile. È dall’attentato contro l’hotel Corinthia, nove morti lo scorso 27 gennaio, che le milizie locali fanno del loro meglio per bloccare le infiltrazioni dei jihadisti nella regione della capitale. E l’Isis è in questo momento concentrato nel rafforzare il suo controllo su Sirte (450 chilometri a est di Tripoli). Negli ultimi giorni ha diffuso terrificanti video di prigionieri omosessuali gettati dai palazzi più alti della città.
Una delle opinioni più diffuse è invece che la bomba contro Mellitah sia risultato delle crescenti tensioni tra gli uomini della Al Nawafi, la milizia legata ai Fratelli Musulmani che nel quartiere si occupa delle attività contro i criminali comuni, e altre formazioni armate rivali. Tre mesi fa la stessa milizia era stata attaccata a suon di autobombe e omicidi mirati nel quartiere di Tajura subendo morti e feriti.
Il messaggio In Rete è apparsa una rivendicazione dello Stato Islamico ma è ritenuta poco credibile