Dopo il sangue e le bugie Mamadou sfida il poliziotto: «Ora posso andare a casa?»
quando sono uscito alle 6 del mattino per rientrare quasi subito alle 6 e 20...». Altra bugia colossale, perché agli agenti di guardia al cancello, dove entrate e uscite vengono segnate puntualmente su un registro, Mamadou risulta sì entrato alle 6 e 20, ma alle 6 non è mai uscito di lì. Probabilmente aveva già scavalcato ore prima da qualche parte, intorno al grande recinto.
Sicuro, sfrontato, imperturbabile, anche mentre leggeva la carta dei suoi diritti, nel momento del trasferimento in carcere, a Catania, poco prima di mezzanotte. O forse semplicemente un incosciente. Il questore di Catania, Marcello Cardona, che per anni ha diretto l’ufficio immigrazione a Roma, ammonisce che bisogna stare attenti, ora, ad «associare qualunque reato a un immigrato», perché anzi lui di storie belle legate all’integrazione ne potrebbe raccontare in quantità. In queste ore, però, si è andato a rileggere il modello C3 che Mamadou Kamara compilò alla fine di giugno scorso per richiedere il riconoscimento dello status di rifugiato politico in attesa di essere chiamato a Siracusa davanti alla commissione territoriale del governo. «Non potevo più stare nel mio Paese, la Costa d’Avorio — racconta Mamadou —. Avevo paura per la mia vita, così sono fuggito e sono arrivato in Libia dove ho pagato per imbarcarmi. Sono venuto in Italia in cerca di fortuna».
Lucien Aka Kuamè, 77 anni, presidente dell’Unione Ivoriana di Sicilia, dice che «Mamadou è assolutamente estraneo alla comunità, non lo conosce nessuno e di quello che ha fatto, se vero, risponderà personalmente. Ma sarebbe sbagliato generalizzare». Il ragazzo, com’è noto, sbarcò l’8 giugno a Catania, soccorso insieme a migliaia d’altri come lui dalle navi di Triton. delle risposte, delle sue scuse non so che farmene, se i miei genitori sono morti è anche colpa dello Stato, perché il governo italiano non fa altro che accogliere, accogliere, ma questi vengono qui per rubare, per ammazzare, vengono a maltrattare le persone che li ospitano e sputano sul piatto che gli viene