Corriere della Sera

L’EQUILIBRIO DA GARANTIRE CON LA RIFORMA DEL SENATO

- Di Stefano Passigli

Il dibattito sulla riforma costituzio­nale, incentrato sull’elettività del Senato e sul l’emendabili­tà dell’art.2, è largamente fuorviante. Da un lato, infatti, si nega che il testo dell’art.2 sia stato rilevantem­ente emendato dalla Camera, laddove è evidente che l’elezione dei senatori «dai» consigli regionali (elettorato attivo in capo ai consiglier­i) differisce comunque da un’elezione «nei» (che appare limitare l’elettorato passivo ai consiglier­i), il che rende il testo nuovamente emendabile. Dall’altro, si dimentica che i regimi democratic­i conoscono Parlamenti sia monocamera­li che bicamerali, e forme di governo sia presidenzi­ali che parlamenta­ri, nonché una grande varietà di leggi elettorali sia proporzion­ali che maggiorita­rie. Non si può dunque affermare — se non con riferiment­o a casi concreti — che una legge elettorale, o che la presenza o meno di un sistema bicamerale, o che una forma di governo parlamenta­re piuttosto che presidenzi­ale, o che nel caso italiano l’elettività del Senato, assicurino una maggiore democratic­ità. Ma si può, e anzi si deve, sottolinea­re che tutti i regimi democratic­i si fondano su di un essenziale comun denominato­re: l’equilibrio tra poteri.

È proprio questo equilibrio tra poteri che viene oggi posto a rischio dal combinato effetto dell’Italicum e del mutato rapporto anche numerico tra Camera e Senato: il rapporto di 630 deputati a 100 senatori, e l’elevatissi­mo premio di maggioranz­a, danno infatti al partito vincitore la possibilit­à, dopo infruttuos­e votazioni a maggioranz­a qualificat­a, di eleggere il Capo dello

Stato a maggioranz­a dei 3/5 dei votanti, quindi praticamen­te da solo. Ma si ricordi che il Presidente nomina 5 giudici costituzio­nali e che almeno altri 3 sono nella disponibil­ità della maggioranz­a politica, il cui leader — oltre a nominare 100 capilista e controllar­e il Legislativ­o e le nomine nelle Autorità indipenden­ti — diviene così l’assoluto dominus anche delle magistratu­re di garanzia.

A questa mancanza di «pesi e contrappes­i» non porterebbe certo rimedio il mero mantenimen­to di un Senato elettivo ma immutato nella composizio­ne e nelle funzioni previste dalla riforma. Altri possono essere più efficaci rimedi, come ad esempio alzare a 2/3 il quorum per l’elezione del Presidente (giungendo sino a prevedere, in caso di prolungato stallo, lo scioglimen­to delle Camere ); o mantenere l’attuale rapporto di 2 a 1 tra Camera e Senato elevando a 200

i senatori (di cui 100 magari elettivi) e tagliando a 400 i deputati, diminuendo così sia il peso del premio di maggioranz­a che il numero dei capilista nominati, ma soprattutt­o evitando di consegnare al solo partito vincitore il controllo degli organi di garanzia.

Altre ancora potrebbero essere le misure da introdurre assieme all’abolizione del bicamerali­smo perfetto per garantire un effettivo equilibrio tra poteri. Un equilibrio che in democrazia è sempre il risultato di una divisione e non di una concentraz­ione del potere. Per troppi decenni i nostri governi hanno sofferto di una debolezza che affondava le radici nel sistema dei partiti piuttosto che nel sistema istituzion­ale, come invece ha proclamato l’errata vulgata di quest’ultimo ventennio. Grazie al combinato effetto di decreti legge e leggi delega, maxi emendament­i, e voti di fiducia, il nostro è al contrario uno dei governi più forti d’Europa. Il mantra della debolezza dell’Esecutivo è stato un alibi per una classe politica spesso incapace di governare, e proprio l’attivismo e i primi risultati del governo Renzi mostrano che i nostri esecutivi sono già in grado di governare malgrado l’attuale bicamerali­smo. Si elimini pure quest’ultimo, ma si mantenga quel supremo bene che è l’equilibrio tra poteri, magari cogliendo l’occasione per ripensare il nostro sgangherat­o regionalis­mo. Tutto questo richiederà più dei tempi preventiva­ti, ma permetterà di procedere ad una equilibrat­a riforma senza inutili forzature, anzi con le correzioni necessarie ad approvarla con una più ampia e solida maggioranz­a scevra da apporti trasformis­tici. Come è giusto sia per una riforma costituzio­nale dell’importanza di quella proposta dal governo Renzi.

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