Corriere della Sera

QUELL’INATTESO RITORNO DEI CONFINI NAZIONALI

- Sabino Cassese

Il Regno Unito ha incaricato forze di polizia francesi di presidiare la frontiera, su territorio francese, come il Canada, che, d’accordo con le autorità straniere, svolge pre-ispezioni in porti e aeroporti esteri nei quali si imbarcano passeggeri diretti in Canada. Stati Uniti e Australia sono andati oltre, arretrando (sulla carta) di cento miglia i limiti territoria­li per facilitare l’espulsione rapida di immigrati, che vengono trattati, quindi, su suolo americano e australian­o, come se fossero presi sulla frontiera, con decisioni non sottoposte a controllo giurisdizi­onale.

Questa chiusura nelle proprie frontiere pone problemi enormi alla coscienza moderna. Ne voglio indicare solo tre. In primo luogo, la riscoperta delle barriere all’entrata non tiene conto che chi fugge si priva dell’appartenen­za a una comunità, e, quindi, anche del «diritto ad avere diritti» che deriva da tale appartenen­za. La chiusura delle frontiere lo precipita in un limbo giuridico (oltre a causarne spesso la morte).

La chiusura, in secondo luogo, è disposta da Paesi che hanno fatto propria la tradizione, risalente al 1789, secondo la quale sono garantiti i diritti « dell’uomo e del cittadino » (prima dell’uomo che del cittadino) e sono tenuti a rispettare la Dichiarazi­one universale dei diritti dell’uomo (1948). Dunque, da Paesi che sono obbligati a garantire non solo i diritti dei connaziona­li, ma anche quelli degli «altri». Da Paesi che si valgono dell’apertura delle frontiere quando fa comodo (per esportare merci, investire denaro, viaggiare), le chiudono quando si sentono minacciati dall’immigrazio­ne di persone.

Infine, questa chiusura nazionalis­tica ripropone l’interrogat­ivo al quale cercò di dare una risposta nel 1882 il grande storico del cristianes­imo Ernest Renan: che cosa è una nazione? Una nazione è tenuta insieme solo da una lingua comune, da tradizioni e costumi condivisi, oppure è fatta da una comunità di ideali più ampi, che si allargano anche a chi non vi è nato? Quella comunità che chiamiamo nazione è tenuta in vita solo da una comunione di interessi o anche da una comunanza di principi (tra cui quello di dare asilo a chi fugge da guerre e persecuzio­ni nella propria patria)? Nazione comporta appartenen­za esclusiva oppure anche partecipaz­ione a una collettivi­tà più vasta (come dovrebbero testimonia­re le migliaia di organizzaz­ioni internazio­nali esistenti)?

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