Un hashtag vi seppellirà: la partecipazione a colpi di tweet
Sara Bentivegna analizza l’effetto politico dei social
In Italia è molto noto un hashtag — l’#enricostaisereno che Renzi rivolse a Letta poco prima di sostituirlo e diventato ormai sinonimo di doppiezza — ma la rilevanza di Twitter nella discussione politica è questione assai più vasta. Se ne occupa Sara Bentivegna nel libro A colpi di tweet, il cui sottotitolo La politica in prima persona individua il nocciolo della questione: la personalizzazione, oggi un aspetto chiave della politica, combacia alla perfezione con la piattaforma che più di ogni altra esalta l’assenza di mediazioni.
Per Bentivegna il ruolo di Twitter è ormai indiscutibile, proprio perché i 140 caratteri dell’uccellino blu rispondono alle esigenze di quella «democrazia immediata» che segna lo spirito dei tempi: innanzitutto consente la «presa di parola», autentica o illusoria che sia, dei cittadini; quindi garantisce ai leader, in concomitanza con il declino dei partiti, di rafforzare il proprio
rapporto «fiduciario, personale e diretto» con la platea dei follower.
L’interrogativo se tutto questo gran discutere di politica su Twitter rappresenti «un arricchimento o una riproposizione di precedenti dinamiche» resta aperto. Eppure le prove che l’autrice porta a sostegno della forza assunta dalla piattaforma sono solide: nonostante il numero relativamente ridotto di cittadini che la frequenta (circa 4 milioni, ma con un interesse per la politica decisamente superiore rispetto, per esempio, a chi si muove su Facebook) è ormai parte significativa dell’ «ecosistema dei media» in particolare per la sua capacità — ed è questa l’argomentazione più efficace dell’autrice — di mescolare tradizione e innovazione.
Su Twitter si trovano vecchi e nuovi attori della politica, si fanno campagne elettorali vecchio stile e intanto nascono «stili comunicativi» realmente nuovi. Insomma,
è quello «spazio pubblico ibrido» che ben si adatta alla rappresentazione della politica, spesso in naturale sinergia con altri media (un caso simbolo fu quando Matteo Renzi stroncò su Twitter un talk show televisivo e in tempo reale quel «cinguettio» divenne argomento di dibattito nello stesso programma bersagliato, oltre che sulla carta stampata del giorno successivo).
Altro discorso riguarda il ruolo di Twitter nelle mobilitazioni dal basso: dalle Primavere arabe a Occupy Wall Street. Prudentemente l’autrice non attribuisce alla piattaforma il potere di rovesciare regimi o cambiare le priorità dei governi, ma anche qui individua il punto: la partecipazione si è fatta sempre più individuale, «estranea alla dimensione organizzata e burocratica». Di conseguenza Twitter, che risponde plasticamente a questa esigenza, accompagna (e favorisce) cambiamenti epocali.