Addio a Craven, filosofo horror Creò nuovi incubi in famiglia
Il regista aveva 76 anni. Da «Nightmare» a «Scream»: l’assassino è tra noi
aggressiva e avida e in una religiosità ai limiti della superstizione che cancellano ogni traccia di umanità nelle persone, lasciando libero sfogo a una violenza distruttiva e nichilista da cui anche i «buoni» non riescono a trovare riparo.
Curioso che un « filosofo umanista» come lui sia diventato in pochi anni il paladino di un genere che ha aperto le porte allo splatter e al gore, ma è proprio la sua cultura (e il suo vissuto giovanile) a favorire questa metamorfosi e a permettergli di rileggere un genere ribaltandone completamente i cliché: basta con le bande di giovani «selvaggi» ed emarginati, adesso il pericolo — e la violenza — viene dalla famiglia, dalla coppia borghese capace di superare in efferatezza due evasi maniaci sessuali, dalla famigliola che viaggia in camper e sa restituire colpo su colpo ai «selvaggi cannibali» che incontra. Se non addirittura dai «babau» che si usano per spaventare i bambini…
È infatti uno di loro, uno « spauracchio » solitamente confinato nei sogni, a diventare il protagonista di Nightmare – Dal profondo della notte (1984), forse il film horror con il maggior numero di sequel (nove, più una miniserie tivù, un fumetto, un videogioco e innumerevoli parodie, tanto da essere diventato un vero e proprio «media franchise»).
Il protagonista, il personaggio di Freddy Kruger, con la faccia segnata dalla violenza e le mani sostituite da artigli taglienti, è un pedofilo assassino che si materializza negli incubi
Maschere
In alto, l’attore Robert Englund, 68 anni, nei panni di Freddy Krueger, protagonista dei 6 film della serie «Nightmare» (1984-1991). A sinistra, una scena di «Scream», serie che durò per 4 capitoli: dietro la maschera di Ghostface si sono alternati 8 attori
«Voglio spaventare la gente a livelli profondi non solo farla saltare sulla sedia»
dei figli di chi l’ha ucciso per vendicarsi. L’impatto sull’immaginario collettivo fu immediato e generalizzato ma questo successo iconico non deve far dimenticare il sottile e raffinato gioco di rimandi tra sogni e realtà, l’equilibrio perfetto tra paura e umorismo nero che attraversano tutto il film e che sfortunatamente sparirà nei sequel diretti da registi meno cinefili e autoriali.
Ma Craven saprà prendere una bella rivincita sulla volgarizzazione e la mercificazione hollywoodiana inventando il protagonista di Scream (1996), un assassino nascosto dietro una maschera alla Munch, che fa strage di ragazzotti dopo averli interrogati sui classici dell’orrore e che riporta in auge un genere in veloce decadenza, mentre riflette metacinematograficamente proprio sul genere e sul suo pubblico d’elezione.
E questa volta, sarà lo stesso Craven a dirigere i suoi tre sequel (1997, 2000 e 2011, meno originali ma non senza interesse), dopo aver cercato di misurarsi con film più ambiziosi ( Il serpente e l’arcobaleno, 1988; La musica del cuore, 1999; My Soul to Take – Il cacciatore di anime, 2010) ma meno apprezzati dal pubblico.