Corriere della Sera

Pjanic-Dzeko, dalla Bosnia con orgoglio

La coppia decisiva della Roma è lo specchio di un Paese sempre più vincente

- Luca Valdiserri

Poco meno di 4 milioni di abitanti con il 34% di disoccupaz­ione, il più alto coefficien­te europeo di disuguagli­anza nella distribuzi­one del reddito, ferite non ancora rimarginat­e dopo una guerra feroce come dimostra il fatto che l’inno nazionale ha la musica ma non ancora un testo accettato da tutti. Non ci sono tantissimi motivi, in Bosnia-Erzegovina, per sorridere. Altrove — vedi Croazia e Slovenia — sono arrivati a pioggia investimen­ti dalla Germania, favoriti da quell’Unione Europea che non ha intenzione di accettare nei suoi confini i bosniaci. Lo sport è uno dei motivi di orgoglio di questa piccola nazione, che negli ultimi giorni ha portato in trionfo (fisicament­e e metaforica­mente) alcuni suoi figli che si sono fatti onore.

Sarajevo è scesa in piazza la settimana scorsa per la vittoria della nazionale giovanile di basket nell’Europeo under 16. Dzanan Musa, classe 1999, giocatore del Cedevita Zagabria, è stato nominato Most Valuable Player del torneo (23,3 punti a partita, 9 rimbalzi e 6,3 assist) e tutti gli pronostica­no un futuro in NBA. Il basket, a Sarajevo, è un’istituzion­e fin dai tempi del Bosna allenato da Boscia il giorno che il talento non sta bene, siamo fregati».

Il grande problema della stoffa azzurra è che nella nuova collezione autunno-inverno, una buona parte rischia di rimanere inutilizza­ta. Da Sirigu a Ranocchia, da Pasqual a Barzagli, passando per Gabbiadini fino alla prima coppia di attaccanti di Conte, Zaza-Immobile: nel fine settimana in sette sono partiti o rimasti in panchina, mentre per altri, come El Shaarawy, De Sciglio, Tanjevic, allenatore eccezional­e, formidabil­e inventore di frasi balcaniche («Capisci il valore di giocatore notte prima di partita, quella è notte in cui culo mangia pigiama») e uomo dagli infiniti valori morali.

Ai campionati mondiali di atletica leggera di Pechino la Bosnia ha conquistat­o la sua prima e storica medaglia (bronzo) negli 800 metri. L’ha vinta Amel Tuka, che si allena con Gianni Ghidini a Bussolengo, in provincia di Verona. Un risultato che, visto il tracollo della spedizione azzurra, avrebbe fatto comodo a noi.

C.t. Antonio Conte (Getty Images)

Ma non c’è dubbio che la connection Italia-Bosnia più forte sia quella che Miralem Pjanic ed Edin Dzeko hanno costruito tra Roma e la loro terra. In Bosnia sono diventati tutti tifosi gialloross­i e i gol dei due «zmajevi» (dragoni) alla Juventus sono stati accolti quasi come quelli che avevano qualificat­o la nazionale al Mondiale di Brasile 2014. Il quotidiano più importante, Oslobodjen­je, quello che è stato la coscienza civica di Sarajevo durante gli anni dell’assedio, ha titolato a tutta pagina: « Olimpico in estasi, Dzeko e Pjanic demoliscon­o

Amici Miralem Pjanic ed Edin Dzeko con la maglia della Bosnia la Juve». La tv N1 ha parlato di «zebra allo spiedo». Magliette della Roma (rigorosame­nte fake, quelle originali costano troppo) sono spuntate nella Bascarsija, la città vecchia.

Pjanic (che ha chiamato suo figlio Edin, come l’amico) è stato il vero operatore di mercato romanista, quest’estate, per portare Dzeko in gialloross­o. «Mi parlava sempre di Roma», ha detto il centravant­i che, valore aggiunto, ha portato con sé anche la bellissima fidanzata, la modella Amra Silajdzic. Dzeko è il centravant­i che l’Olimpico aspettava dai tempi di Batistuta. Ancor più del gol ha colpito i tifosi il modo con cui Dzeko ha segnato: ha preso posizione su Chiellini, lo ha tenuto a distanza come se fosse un ragazzino e non uno dei difensori più forti della serie A, ha schiacciat­o di testa in porta non dando scampo a Buffon.

La punizione di Pjanic è il piatto forte della casa. Una cosa alla Pirlo, tanto per fare il nome di un giocatore che alla Juve è mancato tantissimo. I «piedi buoni» nel calcio non sono mai abbastanza e la Roma, domenica, ne aveva più della Juve.

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