Corriere della Sera

La folle guerra contro Pallotta

- Di Goffredo Buccini

Ora che il prefetto Gabrielli ha imposto la divisione in quattro settori della curva Sud all’Olimpico, gli ultrà gialloross­i se la prendono con il patron Pallotta. Guerra folle, come l’idea del tifo che c’è dietro.

In un Paese normale non ci sarebbe neanche da discuterne. Come definire i tifosi che espongono in curva uno striscione contro la mamma di un tifoso avversario morto? Idioti, anzi, per dirla meglio, alla... bostoniana: fucking idiots. Cosa sono quei tifosi che, organizzat­i in falangi, chiedono atti di sottomissi­one ai calciatori e gestiscono gli spalti come una fortezza? Mele marce, a voler usare understate­ment a piene mani. Insomma, nella guerriglia di gesti e (ri)sentimenti in corso ormai da tempo tra l’italoameri­cano patron della Roma, Jimmy Pallotta, e una parte vociante ed esagitata degli ultrà gialloross­i, non è complicato scegliere con chi stare. Ora che, per comprensib­ili ragioni di sicurezza, il prefetto Gabrielli ha imposto la divisione in quattro settori della curva Sud dell’Olimpico, i signorotti del tifo organizzat­o se la prendono nuovamente con il loro presidente, usando parole rivelatric­i: lo accusano di «non tutelarli» di fronte «all’annientame­nto della Sud», sic, come fosse un capobranco, e strepitano che sarà impossibil­e «sventolare una bandiera» o fare «una coreografi­a». Balle. In gioco ci sono idee di tifo e di mondo contrappos­te. Da un lato il fair play americano (prima di scalare la Roma, Pallotta ha riportato al successo i Boston Celtics di basket), con la convinzion­e che a una partita si vada per divertirsi, magari con la famiglia. Dall’altro lato, il rito italico della battaglia identitari­a, che spesso si consuma lontano dallo stadio, con tafferugli tra pullman di ultrà perfino in autostrada. Piaccia o no, Pallotta ha regalato ai romanisti un deciso ritorno ai piani alti. E, con la sua resistenza contro gli «idiots» della curva, a tutti noi l’idea che non dobbiamo accettare ogni nefandezza nel nome del dio pallone. Churchill sosteneva che noi italiani prendiamo la guerra come una partita di calcio e le partite di calcio come una guerra. Forse ci voleva un italiano cresciuto dall’altra parte dell’Atlantico per dirci che è tempo di cambiare.

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