OTTIMISTI (CON CAUTELA)
L’economia italiana Annotiamo con prudenza i dati positivi sul Pil perché nei mesi scorsi abbiamo vissuto sull’ottovolante delle statistiche con rilevazioni di segno opposto che si sono seguite in un arco di tempo ristretto
Serve cautela, ma dopo i dati Istat di ieri, ci avviciniamo alla nuova stagione un po’ più ottimisti. D’altro canto, un decimale da solo non fa ripresa.
Iprimi dati comunicati a settembre indicano un leggero miglioramento delle condizioni dell’economia italiana. Ieri l’Istat ha corretto di un decimale la rilevazione del Pil del secondo trimestre 2015 portandola da +0,2 a +0,3 e ha anche fornito numeri incoraggianti sulla disoccupazione. Annotiamoli con la necessaria cautela se non altro perché nei mesi scorsi abbiamo vissuto sull’ottovolante delle statistiche con rilevazioni di segno opposto che si sono succedute in un arco di tempo tutto sommato ristretto. Saggiamente ne avevamo concluso che la tendenza verso la ripresa non fosse così netta come si auspicava e che in qualche modo la fine della recessione e l’avvio di un nuovo ciclo si pestassero i piedi. Dopo la comunicazione Istat di ieri questo giudizio non muta, possiamo accingerci a iniziare la nuova stagione con qualche grado di ottimismo in più. D’altro canto un decimale da solo non fa ripresa così come l’incremento — in un anno — di 180 mila posti di lavoro non ci autorizza a sventolare le bandiere. I politici, di un campo o dell’altro, lo facciano pure ma il giudizio dell’opinione pubblica avvertita deve restare necessariamente cauto. Le insidie, infatti, non mancano. Un esempio su tutti: il tasso di disoccupazione tra i 25 e i 34 anni — decisivo per capire l’assorbimento o meno di giovani qualificati — è cresciuto ( in controtendenza) di un punto rispetto al 2014.
Comunque al di là degli elementi statistico-quantitativi che fotografano l’evoluzione della crisi può essere utile aggiungere qualche valutazione di natura qualitativa. Il fenomeno che in questa sede ci interessa sottolineare è quello della crescente polarizzazione dell’economia italiana, con la ripartenza che aumenta (invece di attenuare) le distanze. Il caso più evidente riguarda Nord e Sud. Qualche segnale positivo nei mesi scorsi è venuto dagli impegni presi da Fca per gli stabilimenti a sud di Roma così come la continuità produttiva dell’Ilva è da rimarcare con favore. Ma se prendiamo in esame ancora una volta la riduzione del tasso di disoccupazione, segnalata ieri dall’Istat, il divario territoriale si amplia. Il trend al rialzo è quasi interamente appannaggio del Nord e la differenza si allarga con un 7,9% nelle regioni settentrionali e un 20,2% nel Meridione. Prima della pausa estiva si è parlato ampiamente dell’urgenza di nuove policy per lo sviluppo del Sud ma lo si è fatto in maniera confusa sommando spesso argomentazioni di indirizzo contrario. Varrà la pena sciogliere queste ambiguità e procedere.
La polarizzazione non è solo territoriale, riguarda anche il sistema delle imprese. Il Pil si è giovato della novità rappresentata dalle vendite di auto e ad agosto la polemica che ha occupato lo spazio maggiore sui giornali non ha riguardato il disperato salvataggio di un’ennesima impresa in crisi bensì come si dovesse rispondere a un picco di domanda di frigoriferi Electrolux, lavorando anche a Ferragosto oppure no. A fronte però di una quota significativa di aziende che è pronta a scattare il grosso dei Piccoli non sta riaprendo i battenti con maggiore serenità che in passato. Mostrano una grande capacità di resistenza e hanno persino stabilizzato parte dei contratti a termine, ma la stagnazione del mercato interno si va ad aggiungere al deterioramento del sistema dei pagamenti tra i privati e alla penuria di capitale circolante rendendo tutto tremendamente difficile. Ci sarebbe bisogno di accelerare nella riorganizzazione dell’offerta accrescendo la dimensione delle imprese ma questo processo non lo si può gestire per decreto. E intanto la polarizzazione avanza.
Se questa è, anche solo in parte, la fenomenologia che l’economia reale ci rimanda il presidente del Consiglio Mat- teo Renzi è giusto che faccia appello agli italiani perché si sentano protagonisti della ripartenza del Paese. Occorre però accompagnare l’invito alla responsabilizzazione con almeno due materie di scambio. La prima riguarda la preparazione di una legge di Stabilità che deve privilegiare le coerenze e non diventare l’ennesimo vestito di Arlecchino. La seconda più squisitamente politica riguarda la continuità dell’azione di governo. Se vista dal Parlamento la minaccia più o meno velata di interrompere la legislatura crea turbamento in quei deputati e senatori che disperano di essere ricandidati, vista dal versante delle attività produttive la stessa eventualità evoca l’immagine di un’altra tela di Penelope e di uomini politici che passano il tempo a cucirla e a scucirla.
@dariodivico