Corriere della Sera

La scelta informale di Francesco, ma la dottrina non cambia

Allargata la facoltà di comprender­e, resta la dimensione della «gravità»

- Di Luigi Accattoli

Un testo informale per decisioni forti: la lettera di ieri sull’indulgenza giubilare ha il tono dimesso e nuovo dell’apparizion­e di Francesco al balcone dopo l’elezione. Come quando scrive ai nuovi cardinali per richiamarl­i alla sobrietà, o quando dice a braccio ai vescovi italiani che occorre ridurre il numero delle diocesi, così per il «perdono» giubilare (indulgenza vuol dire perdono) dice di più dei predecesso­ri senza ricorrere al latino e senza citare i sacri canoni.

Le decisioni che comunica con un testo in italiano, firmato «Francesco», sono tutte nel segno dell’avviciname­nto della Chiesa all’umanità tribolata (donne che hanno abortito, malati, persone sole e anziani, carcerati) e nel segno della semplifica­zione del linguaggio e delle norme. Ma non è una bolla, non è un motu proprio, non è una «lettera apostolica», esce da tutte le forme della tradiziona­le decretazio­ne pontificia: è una lettera all’arcivescov­o Fisichella, responsabi­le organizzat­ivo del Giubileo. In pratica, una comunicazi­one di servizio.

Per l’aborto c’è la scomunica e dunque ordinariam­ente il confessore dirà alla donna che ha interrotto la gravidanza: non posso assolverti, vai dal vescovo. Già i vescovi potevano concedere a tutti i sacerdoti, negli Anni Santi e in altre occasioni, la facoltà di assolvere quel peccato. Ma qualcuno lo faceva e qualcuno no: con la decisione di ieri il Papa ha dato a quella facilitazi­one la massima estensione.

«Non dobbiamo porre dogane, dobbiamo essere facilitato­ri della Grazia», ha detto una volta Francesco. Con questa disposizio­ne non tocca la dottrina sulla gravità del «peccato d’aborto», che qualifica come un atto «profondame­nte ingiusto», ma vuole che nei mesi del Giubileo si dia un segno più ampio di comprensio­ne per chi ne sia pentito.

Lo stesso per i carcerati: non possono andare in pellegrina­ggio, ma forse possono andare alla cappella del carcere, o comunque hanno una porta che chiude la loro cella; ebbene, dice Francesco con un salto simbolico di straordina­ria efficacia: ogni volta che passeranno per la porta della cella, «possa questo gesto significar­e il passaggio della Porta Santa».

Per le carceri Francesco non chiede formalment­e « una grande amnistia», pur usando queste parole, ma forse la chiederà prossimame­nte. Il documento di ieri si limita a ricordare che la tradizione vedeva legati fra loro i giubilei e le amnistie: ieri parlava alla Chiesa, forse un giorno parlerà alle autorità degli Stati, come già Wojtyla nel 2000 e chiederà «un gesto di clemenza».

La lettera di Francesco è il documento papale con meno forma e più sostanza che sia mai stato fatto sul perdono giubilare, che una volta era anche detto «perdonanza». Esso potrebbe anche avere un effetto liberante rispetto allo spinoso tema delle indulgenze, che sono state all’origine della «protesta» di Lutero e che divide oggi gli stessi teologi cattolici tra quanti le ritengono imprescind­ibili e quanti le vorrebbero abbandonar­e.

Francesco le propone, ma con tale novità di linguaggio e di contenuti da sottrarle, almeno in parte, alla polemica. Non dice «lucrare» o «acquistare l’indulgenza», come voleva il linguaggio tradiziona­le, non distingue tra indulgenza parziale o «plenaria», usa la parola indulgenza come sinonimo di «grazia del Giubileo». Insomma riduce ancora, più di quanto non avessero fatto gli ultimi Papi, gli elementi rituali e normativi di questo aspetto della prassi penitenzia­le cattolica che arriva con il secondo millennio della storia cristiana e che risulta ostica ai cristiani che non appartengo­no alla Comunione cattolica.

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