Corriere della Sera

RILUTTANTE E DECISA LA NUOVA LEADERSHIP DI ANGELA MERKEL

Unione e solidariet­à Il protagonis­mo tedesco era apparso chiaro già nelle vicende della Grecia e dell’Ucraina. La volontà di guidare l’Europa verso una politica comune fondata sul diritto di asilo è un atto di responsabi­lità che chiama in causa tutti

- @danilotain­o di Danilo Taino

Un grido, «Germany, Germany», fa vacillare gli equilibri dell’Europa. Un urlo, più che uno slogan, uscito dalle gole dei migranti bloccati in Ungheria mentre, ieri, cercavano di raggiunger­e la terra tedesca. Una dichiarazi­one politica ingenua che smaschera ipocrisie e mesi d’infingimen­ti. Soprattutt­o, che racconta due realtà: alla Germania, che nonostante la sua riluttanza è obbligata a essere il Paese leader del Vecchio Continente; agli europei, che, con le decisioni prese nei giorni scorsi, Angela Merkel quella leadership l’ha accettata.

Ciò che sta succedendo sulla questione dei rifugiati, dei richiedent­i asilo, cambia le regole del gioco in Europa. Per alcuni versi, Berlino è stata messa con le spalle al muro: chi fugge dalla guerra e dai disastri — ma anche chi cerca sempliceme­nte una vita meno drammatica — vuole andare in Germania. Non perché è il Paese più grande della Ue, non solo perché è l’economia con meno disoccupat­i dell’Eurozona: soprattutt­o perché è, con i suoi limiti, un modello di governance, di integrazio­ne, di responsabi­lità, di serietà organizzat­iva. Un posto dove vivere è meno difficile. Non a caso, l’altra grande meta sognata dai migranti è la Svezia, Paese con caratteris­tiche simili. La novità è che Berlino — intesa come sistema dei partiti e delle istituzion­i — sta accettando questa realtà: in ciò sta l’innalzamen­to di asticella con il quale tutta la Ue deve ora misurarsi.

Frau Merkel, gran parte del suo partito, gli alleati socialdemo­cratici, le opposizion­i verde e di sinistra, il presidente federale Joachim Gauck, le organizzaz­ioni sociali e buona parte di quelle economiche, i media accettano l’idea che quest’anno arrivino nel Paese 800 mila richieste d’asilo. Di base, condividon­o la decisione della cancellier­a di non respingere in patria o nei porti d’ingresso nella Ue i rifugiati siriani e di investire denaro dei cittadini per realizzare un’accoglienz­a decente. Si preparano a sostenere il loro governo che nei prossimi giorni cercherà di convincere i partner della Ue a collaborar­e in una politica di asilo. C’è chi si oppone, chi brucia i centri di accoglienz­a. Ma per ogni caso del genere ce ne sono probabilme­nte centinaia di segno contrario, di apertura: unificati dal principio che di fronte a chi fugge da stragi e persecuzio­ni non si può negare l’aiuto, che il diritto di asilo è una pietra miliare della cultura politica della Germania postbellic­a. Anche a costo di creare disagi ai vicini che non hanno lo stesso approccio.

In una lettura minima, il salto di qualità realizzato da Berlino azzera le critiche di egoismo e di mancata solidariet­à avanzate contro la Germania durante la crisi greca. Qui, nel caso di chi fugge dalla Siria o dall’Afghanista­n, si può davvero parlare di solidariet­à. E si tratta dunque di unire la Ue nei nomi di essa e dei diritti umani. Nel caso di Atene, in discussion­e era altro: il rispetto degli impegni presi senza il quale l’euro sbanderebb­e. Chi ha inneggiato alla solidariet­à verso la Grecia è chiamato ora a metterla in pratica con i rifugiati in arrivo.

In realtà, però, nelle vicende di questi giorni c’è molto di più. Il balzo della cancellier­a, la sua decisione di guidare l’Europa in direzione di una politica comune fondata sul diritto di asilo è un atto di leadership nuovo. Già il ruolo leader della Germania si era visto nelle crisi greca e ucraina:

Atteggiame­nti Berlino azzera le critiche di egoismo ricevute durante il «caso di Atene», quando ha difeso in maniera rigida e inflessibi­le il rispetto degli impegni

in quei casi, tenere insieme l’Europa, anche su posizioni dure, non era semplice ma fattibile. Riuscirci davanti alle masse di migranti che chiedono di entrare in Europa — problema politico molto serio per ogni governo — è però un altro livello di difficoltà. Sarà forse impossibil­e raggiunger­e l’unanimità nella Ue su una politica di apertura: l’Ungheria va per la sua strada, buona parte dei Paesi dell’Est europeo ritengono di non essere in grado di accettare numeri consistent­i di profughi, chi ha la disoccupaz­ione alta si ripara dietro quella e i governi che hanno sul collo il fiato di opposizion­i anti-immigrazio­ne vogliono limitare i danni.

Ciò nonostante, Berlino ha preso l’iniziativa: forse in ritardo, ma la cancellier­a sembra più che mai determinat­a a non transigere sul diritto di asilo. Il neo-verbo «merkeln» — temporeggi­are, cincischia­re per non prendere decisioni — per ora non è entrato nel vocabolari­o dei migranti. Il resto d’Europa dovrebbe prenderne nota: la leadership tedesca, riluttante ma obbligata, non era mai stata tanto esplicita. A molti, l’urlo «Germania, Germania» risulterà fastidioso. Ma lo ha sentito il mondo.

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