RILUTTANTE E DECISA LA NUOVA LEADERSHIP DI ANGELA MERKEL
Unione e solidarietà Il protagonismo tedesco era apparso chiaro già nelle vicende della Grecia e dell’Ucraina. La volontà di guidare l’Europa verso una politica comune fondata sul diritto di asilo è un atto di responsabilità che chiama in causa tutti
Un grido, «Germany, Germany», fa vacillare gli equilibri dell’Europa. Un urlo, più che uno slogan, uscito dalle gole dei migranti bloccati in Ungheria mentre, ieri, cercavano di raggiungere la terra tedesca. Una dichiarazione politica ingenua che smaschera ipocrisie e mesi d’infingimenti. Soprattutto, che racconta due realtà: alla Germania, che nonostante la sua riluttanza è obbligata a essere il Paese leader del Vecchio Continente; agli europei, che, con le decisioni prese nei giorni scorsi, Angela Merkel quella leadership l’ha accettata.
Ciò che sta succedendo sulla questione dei rifugiati, dei richiedenti asilo, cambia le regole del gioco in Europa. Per alcuni versi, Berlino è stata messa con le spalle al muro: chi fugge dalla guerra e dai disastri — ma anche chi cerca semplicemente una vita meno drammatica — vuole andare in Germania. Non perché è il Paese più grande della Ue, non solo perché è l’economia con meno disoccupati dell’Eurozona: soprattutto perché è, con i suoi limiti, un modello di governance, di integrazione, di responsabilità, di serietà organizzativa. Un posto dove vivere è meno difficile. Non a caso, l’altra grande meta sognata dai migranti è la Svezia, Paese con caratteristiche simili. La novità è che Berlino — intesa come sistema dei partiti e delle istituzioni — sta accettando questa realtà: in ciò sta l’innalzamento di asticella con il quale tutta la Ue deve ora misurarsi.
Frau Merkel, gran parte del suo partito, gli alleati socialdemocratici, le opposizioni verde e di sinistra, il presidente federale Joachim Gauck, le organizzazioni sociali e buona parte di quelle economiche, i media accettano l’idea che quest’anno arrivino nel Paese 800 mila richieste d’asilo. Di base, condividono la decisione della cancelliera di non respingere in patria o nei porti d’ingresso nella Ue i rifugiati siriani e di investire denaro dei cittadini per realizzare un’accoglienza decente. Si preparano a sostenere il loro governo che nei prossimi giorni cercherà di convincere i partner della Ue a collaborare in una politica di asilo. C’è chi si oppone, chi brucia i centri di accoglienza. Ma per ogni caso del genere ce ne sono probabilmente centinaia di segno contrario, di apertura: unificati dal principio che di fronte a chi fugge da stragi e persecuzioni non si può negare l’aiuto, che il diritto di asilo è una pietra miliare della cultura politica della Germania postbellica. Anche a costo di creare disagi ai vicini che non hanno lo stesso approccio.
In una lettura minima, il salto di qualità realizzato da Berlino azzera le critiche di egoismo e di mancata solidarietà avanzate contro la Germania durante la crisi greca. Qui, nel caso di chi fugge dalla Siria o dall’Afghanistan, si può davvero parlare di solidarietà. E si tratta dunque di unire la Ue nei nomi di essa e dei diritti umani. Nel caso di Atene, in discussione era altro: il rispetto degli impegni presi senza il quale l’euro sbanderebbe. Chi ha inneggiato alla solidarietà verso la Grecia è chiamato ora a metterla in pratica con i rifugiati in arrivo.
In realtà, però, nelle vicende di questi giorni c’è molto di più. Il balzo della cancelliera, la sua decisione di guidare l’Europa in direzione di una politica comune fondata sul diritto di asilo è un atto di leadership nuovo. Già il ruolo leader della Germania si era visto nelle crisi greca e ucraina:
Atteggiamenti Berlino azzera le critiche di egoismo ricevute durante il «caso di Atene», quando ha difeso in maniera rigida e inflessibile il rispetto degli impegni
in quei casi, tenere insieme l’Europa, anche su posizioni dure, non era semplice ma fattibile. Riuscirci davanti alle masse di migranti che chiedono di entrare in Europa — problema politico molto serio per ogni governo — è però un altro livello di difficoltà. Sarà forse impossibile raggiungere l’unanimità nella Ue su una politica di apertura: l’Ungheria va per la sua strada, buona parte dei Paesi dell’Est europeo ritengono di non essere in grado di accettare numeri consistenti di profughi, chi ha la disoccupazione alta si ripara dietro quella e i governi che hanno sul collo il fiato di opposizioni anti-immigrazione vogliono limitare i danni.
Ciò nonostante, Berlino ha preso l’iniziativa: forse in ritardo, ma la cancelliera sembra più che mai determinata a non transigere sul diritto di asilo. Il neo-verbo «merkeln» — temporeggiare, cincischiare per non prendere decisioni — per ora non è entrato nel vocabolario dei migranti. Il resto d’Europa dovrebbe prenderne nota: la leadership tedesca, riluttante ma obbligata, non era mai stata tanto esplicita. A molti, l’urlo «Germania, Germania» risulterà fastidioso. Ma lo ha sentito il mondo.