Giotto, l’italiano
L’affresco, il campanile: maestro dell’arte totale
Èl’ultima opera della sua vita: un campanile. Ma non sembra forse il primo grattacielo della storia del mondo? È la bandiera di un genio piantata nel cuore di Firenze.
Giotto parla tre lingue: una per tutti, una per i Cristiani, una per gli artisti. A me ha spiegato cos’è l’arte totale. Per bocca del suo campanile dice che oggi non puoi più essere soltanto un pittore, anche se dovessi essere il più grande pittore del mondo come lui. Dice che l’artista deve riassumere in sé il sapere del suo tempo e raccontarlo per immagini come in un grande libro per la gente. Dice: «Studiate artisti! Raggiungete la vetta della conoscenza e poi traducetela in eternità. Siate architetti, scenografi, abili registi con senso del ritmo, della pausa e del colpo di scena, capaci di dirigere enormi quantità di attori».
Capito Michelangelo? Capito Raffaello? È a loro soprattutto che stava parlando e loro hanno ascoltato, visto che hanno finito per fare gli architetti. Ma lasciamo il campanile che segna il momento della sua morte, e andiamo a festeggiare la sua nascita. Siamo nel 1267 e finalmente un genio è tornato sul pianeta terra, in Italia. Nell’arte non succedeva da 1757 anni, da quando nel 490 a.C. gli dei avevano deposto Fidia ai piedi dell’acropoli di Atene. Gli artisti come Giotto sanno nascere nel posto giusto e al momento giusto, quando il mondo è stufo di passato e vuole futuro. Di lui bambino si sa soltanto che stava disegnando pecore nella leggenda, quando Cimabue passa e se lo porta a dipingere nella vita. Il piccolo è veloce, impara subito tutto quello che può, doppia il suo maestro e gli ruba la chiave dell’Eldorado dei pittori: il polittico.
Scopre quanto possono brillare certi colori su un fondo ben preparato,come è rilassante scivolare con i pennelli su tavola,come resta lucido l’impasto una volta asciutto, come si combina il rosso rubino con il blu zaffiro e il verde smeraldo, dove seminare gli azzurri e i gialli cangianti e soprattutto come adorare Dio con l’oro. Ma quando tutto questo ha imparato, come Francesco, tutto questo abbandona. Un’altra è la sua guerra. Giotto ha la stessa ossessione di Fidia e Michelangelo: fare templi. Non può contare sui fiumi di denaro di Pericle, né di un papa generoso come Giulio II, ma da genio italo-cristiano qual è, sa benissimo come si fa a moltiplicare pani e pesci. Sceglierà la vetta più impervia, l’ottomila della pittura: l’affresco. A chi è veloce come lui, permette di riempire chilometri di superficie in poche manciate di anni. Per capirci: due anni e la cappella degli Scrovegni è finita. In un semplice stanzone con la volta a botte ecco l’ologramma di un tempio cristiano. È fatto di sola pittura ma è più tridimensionale di un Partenone. Affresco vuol dire fatica, concentrazione, velocità di esecuzione, secchezza, superficie spenta. I colori sono tristi: rosso mattone giallo senape terre sorde. Difficile ipnotizzare la gente senza l’aiuto di qualche bagliore. Quei bagliori, Giotto li estrae dall’anima. Si chiamano color emozione, color commozione, color eleganza suprema, color metafisica. Ogni centimetro di quell’insieme è sotto il suo controllo.
Tutto partecipa al racconto senza confondere lo spettatore. La storia scandita in capitoli si offre dolcemente a noi che dentro una navicella orbitiamo nello spazio blu di un capolavoro cosmico. Quel blu è l’oro di Giotto. Costa quasi come l’oro di Dio. Si ottiene sbriciolando lapislazzuli e ha il potere di illuminare l’arte come solo una luna sa illuminare la notte. Dice che Dio è sceso dove siamo noi e che se ci abbandoniamo alla fede possiamo vederlo mentre attraversa il pennello di Giotto per incarnarsi nelle sue figure. Ma non solo, si impietrisce nelle pietre, si impianta nelle piante, si accasa nelle case. Per questo tutto si assomiglia, perché c’è lo stesso Dio dappertutto. Così come c’è lo stesso Giotto dappertutto. Sono in due lì dentro e sono diventati una cosa sola.
Al Palazzo Reale di Milano, 14 capolavori raccontano come il sommo artista abbia contribuito a formare la nostra sensibilità Il blu è l’oro di Giotto: un blu cosmico. Ci dice che Dio è sceso tra noi