Polittici, tavole e affreschi ma solo capolavori certificati
La curatrice Romano: «Rileggerlo con gli occhi di oggi»
Non stupisce che il primo ad accorgersi della rivoluzione di Giotto sia stato un poeta, pressoché coetaneo dell’artista. È stato Dante Alighieri, che nel Purgatorio segna il sorpasso: «Credette Cimabue ne la pintura tener lo campo, / e ora ha Giotto il grido...». Si era in quella primissima, splendente età del Trecento in cui si andava formando una peculiarità tutta italiana nella lingua e nell’arte.
Dante lo sentiva: mescolando il volgare toscano e le sfumature romanze, stava costruendo (sì, proprio in senso architettonico) la lingua che sarà di Petrarca, Boccaccio e degli altri. Giotto, dall’altra parte, levigava le rigidità bizantine e, come sottolinea Antonio Paolucci, presidente del Comitato scientifico della mostra Giotto, l’Italia, «andava formando la lingua figurativa che, dopo di lui, porterà a Masaccio o a Raffaello».
Ecco perché l’esposizione curata da Serena Romano con Pietro Petraroia, che si apre al Palazzo Reale di Milano, è importante: ci riavvicina a Giotto, ricongiunge il nostro Paese alle sue radici figurative, che nell’artista fiorentino trovano la matrice. Perché sgombra il campo dai luoghi comuni (la «O» perfetta, per dire) e ci porta dritti al ventre della nostra sensibilità moderna. A cominciare dall’allestimento, studiato con intelligenza da Mario Bellini: lo spazio non appesantisce le opere, anzi, le fa fiorire.
Perché una delle grandi intuizioni del Bondone l’ha spiegata Roberto Longhi nel suo saggio Giotto spazioso: «La scoperta del Vero nella certezza dello spazio misurabile». Il vero, il grande insegnamento di san
EIl co-curatore Petraroia: «Un sovrano senza regno perché ha lasciato segni ovunque»
ra, secondo il racconto del Vasari, il più fiorentino dei fiorentini. «Luce della fiorentina gloria», lo aveva già definito il Boccaccio. Eppure, pur mantenendo sempre vivo il legame con la sua città, Giotto è stato il primo eclatante caso di artista ufficialmente viaggiatore, conteso come una star da ordini religiosi e cardinali, da papi, banchieri e potenti, il re angioino, il signore di Milano.
Una committenza di assoluto prestigio, conquistata da quel genio rivoluzionario che aveva liberato l’arte italiana dagli stilemi medievali aprendo la via a una nuova visione dello sguardo, a una nuova pittura dove maestra sarebbe stata la natura, dove il «visibile parlare», lo spazio e i volumi, gli affetti e i sentimenti, avrebbero trovato la loro più alta espressione. È stata un’avventura lunga più di quarant’anni, quella di Giotto, che dalla Toscana lo ha condotto a Roma, ad Assisi, a Bologna, Napoli e Milano per poi far ritorno a Firenze, carico di onori e riconoscimenti, ovunque lasciando capolavori inestimabili, ovunque dialogando con differenti realtà e tradizioni figurative, ovunque portando la novità del suo linguaggio, in una svolta senza ritorno.
Sarà così, oggi, l’attesa mostra milanese realizzata a suggello di Expo proprio in quegli spazi (la dimora di Azzone Visconti, in seguito diventata Palazzo Reale) dove Giotto aveva realizzato due cicli di dipinti murali, a segnare il ritorno dell’artista in città, seguendo i momenti salienti della sua carriera attraverso le tappe del suo percorso, sottolineandone la vocazione cosmopolita e l’attualità. «Far conoscere di più e meglio l’uomo e l’artista Giotto in un incontro ravvicinato con la sua opera, presentando solo capolavori purissimi, senza dipinti di allievi, bottega o contemporanei, Espressioni «Due teste di apostoli o santi», 13151320 circa ( è l’obiettivo di questo progetto, reso possibile dalla convergenza delle grandi istituzioni italiane e difficilmente eguagliabile per l’eccezionalità dei prestiti», dice Serena Romano, con Pietro Petraroia curatrice dell’evento.
«Ben 14 sono le opere da ammirare, mai riunite prima in un’unica esposizione, tra cui tutti gli splendidi polittici di provenienza accertata. Una sequenza completata da informazioni biografiche e documentarie che aiuteranno a rileggere Giotto con gli occhi di oggi, a riscoprire le capacità imprenditoriali di un artista straordinariamente moderno per la sua epoca, che ha saputo muoversi e gestire più imprese in parallelo garantendo sempre l’eccellenza della qualità». A illuminare il percorso giovanile dell’artista ci sono le prime committenze toscane, con la Madonna di Borgo San Lorenzo e quella di San Giorgio alla Costa, il Polittico e gli affreschi di Badia, valorizzati per l’occasione, mentre la tavola con Dio Padre degli Scrovegni testimonierà la presenza del pittore a Padova.
Capolavori che preparano alle mirabili imprese del secondo decennio del Trecento, con il Polittico di Santa Reparata accanto a quello, celebre, voluto dal cardinale Stefaneschi per San Pietro, per la prima volta uscito dai Musei Vaticani, che sottolineano non solo le vette raggiunte dalla sua arte, la plasticità delle figure, la resa psicologica dei gesti e degli sguardi, ma anche la diversificazione delle sue attività, con i cantieri fiorentino e romano aperti nello stesso periodo di quello di Assisi. Ed ecco gli anni della maturità, con il Polittico di Bologna e quello Baroncelli, finalmente completato dalla cuspide con Dio Padre e Angeli proveniente da San Diego.
Nel 1328 Giotto sarà poi a Napoli, chiamato da Roberto d’Angiò. Nel 1334 è di nuovo a Firenze, richiesto dai Priori delle arti, pochi mesi prima di morire è documentato invece a Milano. Ma se le imprese di Palazzo Reale sono andate perdute, tracce del suo passaggio si possono ritrovare nel frammento di Crocifissione in San Gottardo come nelle abbazie di Chiaravalle e Viboldone, a dimostrare come la rivoluzione da lui portata nel racconto per immagini abbia contagiato tutto le scuole pittoriche italiane. « Giotto, l’Italia — conclude l’assessore alla Cultura di Milano, Filippo Del Corno — rappresenta al meglio l’identità culturale del nostro Paese. E l’autunno di ExpoinCittà conferma l’alto livello dell’offerta culturale».
Il luogo dell’esposizione Dove ora c’è Palazzo Reale, sorgeva la dimora di Azzone Visconti: qui Giotto realizzò due cicli pittorici