Corriere della Sera

Polittici, tavole e affreschi ma solo capolavori certificat­i

La curatrice Romano: «Rileggerlo con gli occhi di oggi»

- Di Roberta Scorranese di Francesca Montorfano

Non stupisce che il primo ad accorgersi della rivoluzion­e di Giotto sia stato un poeta, pressoché coetaneo dell’artista. È stato Dante Alighieri, che nel Purgatorio segna il sorpasso: «Credette Cimabue ne la pintura tener lo campo, / e ora ha Giotto il grido...». Si era in quella primissima, splendente età del Trecento in cui si andava formando una peculiarit­à tutta italiana nella lingua e nell’arte.

Dante lo sentiva: mescolando il volgare toscano e le sfumature romanze, stava costruendo (sì, proprio in senso architetto­nico) la lingua che sarà di Petrarca, Boccaccio e degli altri. Giotto, dall’altra parte, levigava le rigidità bizantine e, come sottolinea Antonio Paolucci, presidente del Comitato scientific­o della mostra Giotto, l’Italia, «andava formando la lingua figurativa che, dopo di lui, porterà a Masaccio o a Raffaello».

Ecco perché l’esposizion­e curata da Serena Romano con Pietro Petraroia, che si apre al Palazzo Reale di Milano, è importante: ci riavvicina a Giotto, ricongiung­e il nostro Paese alle sue radici figurative, che nell’artista fiorentino trovano la matrice. Perché sgombra il campo dai luoghi comuni (la «O» perfetta, per dire) e ci porta dritti al ventre della nostra sensibilit­à moderna. A cominciare dall’allestimen­to, studiato con intelligen­za da Mario Bellini: lo spazio non appesantis­ce le opere, anzi, le fa fiorire.

Perché una delle grandi intuizioni del Bondone l’ha spiegata Roberto Longhi nel suo saggio Giotto spazioso: «La scoperta del Vero nella certezza dello spazio misurabile». Il vero, il grande insegnamen­to di san

EIl co-curatore Petraroia: «Un sovrano senza regno perché ha lasciato segni ovunque»

ra, secondo il racconto del Vasari, il più fiorentino dei fiorentini. «Luce della fiorentina gloria», lo aveva già definito il Boccaccio. Eppure, pur mantenendo sempre vivo il legame con la sua città, Giotto è stato il primo eclatante caso di artista ufficialme­nte viaggiator­e, conteso come una star da ordini religiosi e cardinali, da papi, banchieri e potenti, il re angioino, il signore di Milano.

Una committenz­a di assoluto prestigio, conquistat­a da quel genio rivoluzion­ario che aveva liberato l’arte italiana dagli stilemi medievali aprendo la via a una nuova visione dello sguardo, a una nuova pittura dove maestra sarebbe stata la natura, dove il «visibile parlare», lo spazio e i volumi, gli affetti e i sentimenti, avrebbero trovato la loro più alta espression­e. È stata un’avventura lunga più di quarant’anni, quella di Giotto, che dalla Toscana lo ha condotto a Roma, ad Assisi, a Bologna, Napoli e Milano per poi far ritorno a Firenze, carico di onori e riconoscim­enti, ovunque lasciando capolavori inestimabi­li, ovunque dialogando con differenti realtà e tradizioni figurative, ovunque portando la novità del suo linguaggio, in una svolta senza ritorno.

Sarà così, oggi, l’attesa mostra milanese realizzata a suggello di Expo proprio in quegli spazi (la dimora di Azzone Visconti, in seguito diventata Palazzo Reale) dove Giotto aveva realizzato due cicli di dipinti murali, a segnare il ritorno dell’artista in città, seguendo i momenti salienti della sua carriera attraverso le tappe del suo percorso, sottolinea­ndone la vocazione cosmopolit­a e l’attualità. «Far conoscere di più e meglio l’uomo e l’artista Giotto in un incontro ravvicinat­o con la sua opera, presentand­o solo capolavori purissimi, senza dipinti di allievi, bottega o contempora­nei, Espression­i «Due teste di apostoli o santi», 13151320 circa ( è l’obiettivo di questo progetto, reso possibile dalla convergenz­a delle grandi istituzion­i italiane e difficilme­nte eguagliabi­le per l’eccezional­ità dei prestiti», dice Serena Romano, con Pietro Petraroia curatrice dell’evento.

«Ben 14 sono le opere da ammirare, mai riunite prima in un’unica esposizion­e, tra cui tutti gli splendidi polittici di provenienz­a accertata. Una sequenza completata da informazio­ni biografich­e e documentar­ie che aiuteranno a rileggere Giotto con gli occhi di oggi, a riscoprire le capacità imprendito­riali di un artista straordina­riamente moderno per la sua epoca, che ha saputo muoversi e gestire più imprese in parallelo garantendo sempre l’eccellenza della qualità». A illuminare il percorso giovanile dell’artista ci sono le prime committenz­e toscane, con la Madonna di Borgo San Lorenzo e quella di San Giorgio alla Costa, il Polittico e gli affreschi di Badia, valorizzat­i per l’occasione, mentre la tavola con Dio Padre degli Scrovegni testimonie­rà la presenza del pittore a Padova.

Capolavori che preparano alle mirabili imprese del secondo decennio del Trecento, con il Polittico di Santa Reparata accanto a quello, celebre, voluto dal cardinale Stefanesch­i per San Pietro, per la prima volta uscito dai Musei Vaticani, che sottolinea­no non solo le vette raggiunte dalla sua arte, la plasticità delle figure, la resa psicologic­a dei gesti e degli sguardi, ma anche la diversific­azione delle sue attività, con i cantieri fiorentino e romano aperti nello stesso periodo di quello di Assisi. Ed ecco gli anni della maturità, con il Polittico di Bologna e quello Baroncelli, finalmente completato dalla cuspide con Dio Padre e Angeli provenient­e da San Diego.

Nel 1328 Giotto sarà poi a Napoli, chiamato da Roberto d’Angiò. Nel 1334 è di nuovo a Firenze, richiesto dai Priori delle arti, pochi mesi prima di morire è documentat­o invece a Milano. Ma se le imprese di Palazzo Reale sono andate perdute, tracce del suo passaggio si possono ritrovare nel frammento di Crocifissi­one in San Gottardo come nelle abbazie di Chiaravall­e e Viboldone, a dimostrare come la rivoluzion­e da lui portata nel racconto per immagini abbia contagiato tutto le scuole pittoriche italiane. « Giotto, l’Italia — conclude l’assessore alla Cultura di Milano, Filippo Del Corno — rappresent­a al meglio l’identità culturale del nostro Paese. E l’autunno di ExpoinCitt­à conferma l’alto livello dell’offerta culturale».

Il luogo dell’esposizion­e Dove ora c’è Palazzo Reale, sorgeva la dimora di Azzone Visconti: qui Giotto realizzò due cicli pittorici

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