Nel suo bastian contrario l’omaggio segreto a Dante
In cielo Il Polittico di Badia (1295-1300) nell’allestimento della mostra a Palazzo Reale ( l’idea di un grandioso spettacolo. Ma a differenza degli spettacoli umani, questo non avviene nel tempo, non è dotato di un inizio e di una fine.
In una maniera che solo i mistici possono comprendere, è allo stesso tempo eterno e momentaneo. Tutti quegli sguardi che convergono da destra e da sinistra sulla scena centrale comunicano allo spettatore una potente energia centripeta.
Con l’eccezione, come si sa, di un solo santo, nella schiera sinistra, che guarda da tutt’altra parte, come se per sbaglio fosse entrato nella parte sbagliata del polittico. Una tale bizzarria, un tale attentato all’impianto simmetrico della rappresentazione, può sedurre noi moderni in quanto tale.
Psicologicamente ancora prima che esteticamente, ci sentiamo immediatamente vicini a quel bastian contrario, a quella pecora nera che si rifiuta di guardare dove tutti guardano. Possiamo ridurre alla nostra misura tutto ciò che vogliamo, ma questo non è certo il modo di pensare di Giotto, o di Dante. Nel loro mondo non c’è spazio per la stranezza inesplicabile. Tutto è intriso di senso come una spugna dall’acqua del mare. E per capire questo senso, riconducendo la bizzarria al suo terreno autentico, forse non c’è nulla di meglio da fare che ricorrere a Dante.
Perché Dante racconta una storia che potrebbe spiegare senza equivoci l’anomalia dipinta da Giotto. Nel III canto del Paradiso, ambientato nel cielo della Luna e dominato dalla soave figura di Piccarda Donati, il poeta racconta di essersi all’improvviso trovato di fronte a una schiera di volti, ancora Il polittico Baroncelli Nella schiera di sinistra un solo santo guarda da un’altra parte: come fa il Poeta nel suo Paradiso muti ma pronti a parlargli.
Ma questi volti gli sembrano riflessi in un vetro, o sulla superficie di acque «nitide e tranquille». E l’errore lo induce a voltarsi dall’altra parte, immaginando che i veri volti siano alle sue spalle. Ho fatto insomma, racconta Dante, il contrario dell’errore di Narciso. Lui scambiò un riflesso per un corpo in carne ed ossa, mentre io ho attribuito a una presenza reale la natura di un riflesso.
E per questo motivo, «gli occhi torsi»: proprio come fa il santo di Giotto, che cerca l’origine di ciò che vede non accorgendosi che ciò che vede è l’origine che cercava. Il Polittico Baroncelli è un’opera tarda, successiva di qualche anno alla morte di Dante (1321).
È bello pensare che Giotto, memore del canto di Piccarda, abbia voluto inserire un sottile omaggio al suo amico poeta, e a quell’innocente errore che suscita il sorriso di Beatrice. Tanto più che se consideriamo in questa luce la parte più alta del polittico, dove Dio è contemplato da un gruppo di angeli che ne sostengono a fatica la visione, non possiamo non notare che due di questi angeli impugnano uno strano arnese, che potremmo scambiare per una gigantesca lente di ingrandimento.
Non si tratterà proprio dei «vetri trasparenti e tersi», come per magia trasportati dalla lingua di Dante nelle tempere di Giotto? Il punto supremo della visione mistica coinciderebbe dunque con un riflesso. Non c’è più nessun errore da correggere: nemmeno la vista degli angeli può varcare quella soglia.