Corriere della Sera

Lo spirito tedesco

Collette, giocattoli, porte aperte: lo «Zeitgeist» non è solo austerità

- di Danilo Taino

Sotto un tiglio, di fronte alla sede della Croce Rossa tedesca della Düppelstra­sse, sudovest di Berlino, tre ragazzi siriani aspettano l’ora dell’appuntamen­to con un volontario dell’Alleanza di Benvenuto per i Rifugiati. Hanno in tasca documenti scritti in tedesco, lingua che non conoscono, pezzi di burocrazia da compilare. Chi li riempirà è uno dei quasi 400 cittadini che aiutano il migliaio di rifugiati del quartiere. Steglitz-Zehlendorf, zona benestante dove la Willkommen­sbündnis für Flüchtling­e fa opera di accoglienz­a, organizza una colletta periodica da una lista di oltre mille abitanti e distribuis­ce il denaro ai nuovi arrivati, assieme ad abiti e giocattoli. Solidariet­à militante.

A Monaco, invece, la solidariet­à è esplosa d’un tratto, martedì. Alla stazione, la polizia ha dovuto bloccare i volontari che arrivavano per dare una mano ai rifugiati entrati dall’Ungheria e dall’Austria. Troppi. E ha chiesto ai cittadini di non portare più aiuti — cibo, acqua, abiti, medicine: il salone destinato a raccoglier­li si era riempito in poco tempo. Non che le autorità si fossero mobilitate: qualche ora prima, i profughi non trovavano nulla e nessuno ad aspettarli, ma via via che i treni arrivavano la popolazion­e si è mossa. È un movimento spontaneo, di base, mai visto prima in queste dimensioni, quello che sta attraversa­ndo la Germania 2015, anno della grande ondata dei rifugiati. Da mesi, a Berlino, ad Amburgo, a Colonia, si moltiplica­no le collette spontanee, pubbliche e private: semplici signore organizzan­o reti di conoscenti che si impegnano a versare dieci, venti euro al mese che poi andranno a sostenere una famiglia siriana, afghana, kosovara. «Sono persone in fuga, hanno bisogno di tutto, in particolar­e di sapere che non devono avere paura», dice Christina Linze, che ogni mese raccoglie alcune centinaia di euro per una famiglia afgana nella zona di Viktoria-Luise Platz, a Berlino.

Prima che Angela Merkel parlasse, prima che la politica scendesse in campo (in ritardo) per cercare di dare una scossa all’Europa troppo illusa di essere una fortezza, i tedeschi si erano già mossi. Oggi, dopo che la cancellier­a ha deciso di aprire le porte a tutti i siriani in fuga e ha ribadito che il diritto di asilo è un pilastro del Paese, i sondaggi dicono che il 60% dei tedeschi è convinto che la Germania ce la possa fare ad accogliere gli 800 mila richiedent­i asilo che si prevede arriverann­o quest’anno, che forse saranno di più e che nel 2016 crescerann­o ancora. È questo movimento spontaneo — che non si fa propaganda, non ha obiettivi di partito, non vive di ideologia ma di solidariet­à — che sta facendo della fine dell’estate 2015 un momento di svolta che cambia la Germania agli occhi suoi e degli altri.

Non è la Coppa del mondo 2006, dove il Paese divertiva, organizzav­a e veniva ammirato. È qualcosa di profondo: è la Germania che ha cambiato pelle, quella Germania che settant’anni fa produceva profughi oggi dà asilo a chi fugge dalla guerra. È un Paese che durante la crisi greca era giudicato egoista e oggi chiede agli altri di mostrare solidariet­à. E che, caso straordina­rio, per motivi umanitari (e politici e economici) non rispetta le regole che aveva sottoscrit­to, l’ormai derelitto accordo di Dublino.

Non sarà una festa di gala. Gli scontenti e gli xenofobi ci sono e si fanno sentire. I neonazisti hanno bruciato un centro di accoglienz­a a Heidenau e altri in diverse città. Questo, però, è forse il problema minore, di fronte alla sfida della marea di migranti che vogliono vivere a Monaco e ad Amburgo. Secondo dati forniti da funzionari del Land Baviera, in agosto sono entrati in Germania 104.460 richiedent­i asilo. Dall’inizio dell’anno 413.535. Fiumi di umanità che possono destabiliz­zare intere comunità. Il governo ha stanziato più di un miliardo per fare fronte all’emergenza, ma servirà altro. Secondo il ministro del Lavoro, la signora Andrea Nahles, rispondere con decenza alla pressione dei previsti 800 mila arrivi costerà quest’anno tra 1,8 e 3,3 miliardi. Ma uno studio di Deutsche Bank calcola che il costo annuo sarà di 7,3 miliardi. Si tratta di trovare alloggi, nutrire, dare assistenza e poi lavoro. Dal 2016, calcola Frau Nahles, 240-260 mila immigrati entreranno nel sistema di sicurezza sociale; dal 2019, un milione. Si dovranno organizzar­e scuole per centomila ragazzi che non conoscono una parola di tedesco. E, prima, occorrerà stabilire chi ha diritto di asilo e chi no; anche smantellar­e il racket di passaporti siriani falsi che è già in funzione.

È una sfida. Dal punto di vista finanziari­o, sostenibil­e. «Siamo nella fortunata posizione di non essere a corto di denaro», ha ricordato il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, che quest’anno ha riportato il bilancio pubblico in surplus: per rammentare, a chi in Europa l’ha criticato, l’importanza di avere conti in ordine quando arrivano le emergenze. Ma per un Paese a demografia negativa, con carenza di lavoratori, è anche un investimen­to. Ci sono oggi in Germania 46 milioni di persone in età da lavoro: senza nuova immigrazio­ne, in trent’anni scenderebb­ero a 29 milioni. A luglio, i posti di lavoro offerti e non coperti erano 600 mila: da ingegneri ad alta specializz­azione a parrucchie­ri e infermieri. Il governo studia una nuova legge sull’immigrazio­ne, per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro di chi arriva, per ragioni umanitarie o in cerca di opportunit­à. Gli occhi del mondo sono sulla Germania: è forse la sua più grande sfida del dopoguerra.

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