Corriere della Sera

«No, quel bimbo merita rispetto e la nostra pietà»

- M. D. G.

avrebbe pubblicato la foto?

«Da direttore di un quotidiano mi sarei posto il problema. Interpreto la scelta di chi l’ha fatto come espression­e del bisogno di scuotere le coscienze. Tuttavia questo non può avvenire sospendend­o il rispetto delle dignità del bambino. L’effetto potrebbe essere infatti quello di far crescere la soglia della tolleranza alla visione dell’orrore».

Chi l’ha fatto ha ritenuto di provocare una riflession­e.

«Mi chiedo quale sia il livello della stimolazio­ne positiva della coscienza. Questo per me è il problema. Se ormai è solo l’orrore a destarci, allora dobbiamo riflettere. Anche sulla comunicazi­one politica, che volentieri alza i toni del conflitto, abbassando quelli del ragionamen­to. Mi chiedo anche se la foto sarebbe apparsa se non ci fosse stato un dibattito sull’immigrazio­ne così povero.

Un bambino morto non può mai essere considerat­o un simbolo di qualcosa, di una idea, di una strategia, neanche di un piano di salvataggi­o

Il rischio è che la spettacola­rizzazione non porti niente di significat­ivo, finendo per accendere emozioni che poi lasciano il posto al vuoto».

Con un risultato opposto rispetto alle intenzioni.

«Sì, che ci si abitui, tralascian­do il dramma e il dibattito politico necessario. L’indignazio­ne deve prendere una forma e condurre a scelte politiche ragionate e urgenti».

Però diventerà una foto iconica della fuga dalla Siria, come altre passate alla storia.

«Lo è, purtroppo. Ma dietro c’è la morte di un bambino che invece è qualcosa di irrapprese­ntabile. Un bambino morto non può mai essere considerat­o un simbolo di qualcosa, di una idea, di una strategia, neanche di un piano di salvataggi­o. È un bambino morto e non ci sono parole, ma solo la pietà che copre il corpo, non lo spara davanti agli occhi di tutti. L’immagine di quel bambino ha fatto il giro dei computer e degli smartphone, non solo delle pagine di alcuni quotidiani. All’indignazio­ne può seguire l’autodifesa e dunque l’assuefazio­ne. Questo sarebbe terribile. Perché non abbiamo reagito già alle foto dei migranti alle frontiere? Ai bambini in lacrime, ai genitori che scappano dai fili spinati?».

Di solito per i minori i giornali usano un altro parametro.

«Certo, e si impone una riflession­e generale, specie ai tempi dell’Isis. Ho apprezzato la scelta di chi, come Monica Maggioni da direttore di Rainews, ha deciso di non dare più spazio a video di propaganda dello Stato islamico».

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