Corriere della Sera

I SUGGERIMEN­TI DELLA STORIA SULLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA

- Beniamino Migliucci

Caro direttore, Sabino Cassese, nell’editoriale pubblicato nelle pagine sul Corriere della Sera il 24 agosto scorso, ha individuat­o i temi principali sui quali dovrebbe incidere l’azione del governo per riformare giustizia e magistratu­ra: il Csm, dominato da gruppi e correnti, l’alto numero degli avvocati, l’elevato numero dei procedimen­ti in Cassazione, l’eccessivo ricorso alla carcerazio­ne preventiva, i troppi magistrati in politica e le continue esternazio­ni, la tendenza di Procure e Corti a dettare l’agenda della politica, l’inadeguate­zza nel contrasto alla criminalit­à organizzat­a, la funzione impropria assunta nella società civile dal sistema giudiziari­o, lo smodato ricorso alle intercetta­zioni e la loro incontroll­ata diffusione e da ultimo la necessaria separazion­e delle carriere.

Tutto sbagliato? A leggere Armando Spataro (sul Corriere della Sera del 27 agosto) parrebbe di sì. Si tratterebb­e di «assertive affermazio­ni» determinat­e da incrostazi­oni di «anni difficili». Non esisterebb­e la necessità di riformare la magistratu­ra.

A parere del procurator­e i magistrati italiani sono infatti i più produttivi d’Europa, le carriere politiche e le esternazio­ni sarebbero solo eccezioni patologich­e, le intercetta­zioni sarebbero irrinuncia­bili per ogni «delicata indagine», l’indipenden­za dei pubblici ministeri, l’obbligator­ietà dell’azione penale e la possibilit­à di interscamb­io di carriere tra giudici e pubblici ministeri «fanno di quello italiano un sistema la cui comunità internazio­nale guarda come esempio virtuoso».

Ogni volta che nel dibattito pubblico si leva una voce indipenden­te che ha il coraggio di denunciare i capisaldi su cui si è fondato, tra l’altro, lo sbilanciam­ento tra i poteri dello Stato, si assiste a immancabil­i reazioni corporativ­e fingendo di ignorare che democrazie costituzio­nali di Paesi civilissim­i come la Francia, la Germania e la stessa Spagna hanno ordinament­i che assegnano una diversa collocazio­ne ordinament­ale al ruolo del pm e dove il rapporto tra lo svolgiment­o di funzioni giurisdizi­onali e attività politica del magistrato trovano preclusion­i nell’ambito di una disciplina rigorosa.

Quanto all’obbligator­ietà dell’azione penale è uno sproposito ritenere che in questo Paese venga effettivam­ente osservata. Chissà poi a cosa si riferisce

il procurator­e di Torino quando pensa di risolvere i problemi della giustizia eliminando «inutili formalismi»; sarebbe bene comprender­lo perché la forma è garanzia dei diritti dei cittadini. Non è pensabile poi che all’eccessiva durata del processo si possa rispondere aumentando i termini di prescrizio­ne, trasforman­do una durata eccessiva in un processo infinito.

Gli argomenti di Cassese vengono archiviati da Spataro «come una vecchia lista di presunti vizi dei magistrati». Si tratta, al contrario, di temi fondamenta­li sui quali si deve interrogar­e chi intenda occuparsi di una vera riforma della giustizia. E se è vero che i problemi del sistema giudiziari­o sono rimasti irrisolti anche per l’incapacità della politica di porvi mano, è anche vero che ogni tentativo di riforma del sistema giustizia, non suggerito o apdi poggiato dalla magistratu­ra è stato accolto quasi come un atto eversivo perché la magistratu­ra non sempre gradisce che politica e società civile si occupino di riforme che la riguardano.

Fra queste Cassese ha affrontato anche il tema della separazion­e delle carriere, fisiologic­a attuazione dell’articolo 111 della Costituzio­ne, anche perché «accusa e giudizio sono mestieri diversi che richiedono preparazio­ne e profession­alità differenti».

Speriamo che anche Cassese non venga accusato di attentare all’autonomia e all’indipenden­za della magistratu­ra e che si colga invece che la disciplina ordinament­ale della magistratu­ra è un tema che riguarda tutti ed è esposto ai suggerimen­ti della Storia. Presidente dell’Unione

camere penali

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