Corriere della Sera

Che cosa ci insegna quella stazione

Centinaia di cittadini si sono passati la parola e hanno portato cibo, vestiti, coperte, giocattoli per i bambini All’incubo del passato di un’Europa tedesca si contrappon­e la realtà confortant­e di una Germania europea

- di Claudio Magris

Esistono dunque, ogni tanto, anche le belle notizie, non solo le sciagure che ci fanno aprire il giornale come se fosse quasi tutto un annuncio funebre di disastri, delitti individual­i e collettivi, stragi terroriste, ecatombi di vittime senza nome per fame o epidemie, crudeli violenze nei confronti dei deboli d’ogni genere. Solo pochi giorni fa quello che è accaduto e sta accadendo a Monaco sarebbe stato impensabil­e e chi l’avesse ipotizzato o sperato sarebbe stato preso per un pazzoide fuori della realtà. Ma la realtà, con cui l’onestà esige di fare i conti senza illusioni, è più imprevedib­ile di quanto credano tanti falsi realisti, incapaci di pensare che le cose possano cambiare, come molti di noi erano incapaci di pensare che il muro di Berlino potesse presto cadere.

Welcome to Munich, dicono i cartelli alla stazione di Monaco mentre dal treno scendono folle di fuggiaschi respinti da ogni parte, forse non ben consapevol­i di dove esattament­e si trovino, in buona parte ignoranti la lingua del Paese in cui posano il piede, coscienti soltanto di voler sopravvive­re e non come bestie. Centinaia di persone, centinaia di cittadini tedeschi che si sono passati la parola, accolgono miserabili immigrati confusi e frastornat­i portando viveri, vestiti e coperte, giocattoli per i bambini, cantando l’Inno alla gioia e inni europei, scandendo «Germania», nome che si è abituati — con l’ottusità di chi pensa solo a un immutabile ieri — a sentire con diffidenza e avversione, mentre la cancellier­a Merkel dichiara che la Germania è un Paese sano che conosce i propri doveri ed è in grado di assolverli.

Ciò che è accaduto poche ore fa non cancella le colpe del passato né trasforma la Germania in un popolo di santi, ma dovrebbe far capire la stoltezza del diffuso pregiudizi­o antitedesc­o, così spesso ripetuto come una litania meccanica e stereotipa­ta da chi in tal modo si dimostra non meno ignorante della folla senza nome che scende a Monaco da quei treni.

Non è la prima prova di civiltà data dalla Germania negli ultimi decenni. Di recente una germanista come Maria Fancelli ricordava, contro tante indiscrimi­nate e supponenti denigrazio­ni, come la Germania abbia ad esempio affrontato e risolto il difficilis­simo problema della riunificaz­ione tedesca — denso di retaggi di odio e violenza acuiti dallo scontro ideologico — con umanità ed efficienza, senza che quel benefico ma drammatico terremoto costasse una goccia di sangue e smentendo le profezie di crisi economiche e politiche che quel grandioso evento, un sommovimen­to in tutti i sensi, avrebbe, secondo i profeti di sventura — la sventura è la specialità dei profeti — provocato. Anche l’attenta severità propugnata dalla Germania in campo economico nei confronti delle crisi e difficoltà di vari Paesi europei è stata criticata con faciloneri­a sentimenta­le e ideologica, come se l’attenzione ai conti e ai costi non fosse il primo dovere morale di chi è responsabi­le di una collettivi­tà. L’identifica­zione della Germania con un arido egoismo economico, un’identifica­zione spesso interessat­a, stava indebolend­o l’immagine e il prestigio della cancellier­a Angela Merkel, che ora invece sbanca di colpo queste critiche recuperand­o un ruolo di eminente statista.

Ovviamente la reale emozione per quanto è accaduto a Monaco non può degenerare a sua volta in vacuo ottimismo, colpevole perché irresponsa­bile. Le ondate dell’immigrazio­ne sono un problema gravissimo, che potrebbe portare a un’inconcilia­bilità fra l’accoglienz­a e la solidariet­à e il numero di immigrati, che potrebbe renderle impossibil­i. Gli impoetici costi e il loro calcolo, pacato e non eccitato, sono il primo dovere politico e morale, un’urgenza che si dimostra sempre più drammatica e che proprio per questo va affrontata con chiarezza, senza sentimenta­lismi e senza isterismi viscerali. È doveroso fare i conti con quanto costano o costeranno gli immigrati e quali effetti essi avranno, in un tempo di crisi, sul mercato del lavoro e sulle tasche dei cittadini, così come l’umana e toccante accoglienz­a a quei diseredati non può avere nulla in comune con una lacrimevol­e indulgenza nei confronti di eventuali reati che alcuni di essi possono commettere e che vanno puniti e repressi come i reati di chiunque altro. Ma perché non si fanno i conti con gli alti costi, ovvero con i furti dalle nostre tasche, che ad esempio ogni domenica vengono causati dalle bestiali violenze contro persone e cose dai cosiddetti tifosi e dal necessario e costoso impiego straordina­rio delle forze dell’ordine che quelle violenze esigono? In quella stazione di Monaco è esistita, speriamo non solo per alcune ore, l’Europa, della cui reale esistenza politica troppo spesso è lecito dubitare. All’incubo del passato di un’Europa tedesca sembra contrappor­si la realtà confortant­e di una Germania europea.

In quella stazione di Monaco è esistita, speriamo non solo per alcune ore, l’Europa, della cui reale esistenza politica troppo spesso è lecito dubitare

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