Corriere della Sera

«Non si può non vedere»

Mogherini: tra 14 giorni nuova fase delle operazioni navali

- di Paolo Valentino

«La crisi dei rifugiati non è passeggera e non si può far finta di non vedere». Federica Mogherini sprona così l’Europa.

«Non è stata una riunione facile. Abbiamo avuto punti complicati e drammatici. La discussion­e è stata difficile sul tema dell’immigrazio­ne. Ma sicurament­e è emerso che il tempo delle illusioni è finito e non ci sono Paesi che non saranno coinvolti. C’è una nuova consapevol­ezza: non si può sempliceme­nte far finta di non vedere. La crisi dei rifugiati non è emergenza passeggera, è qui per rimanere. Prima lo accetterem­o psicologic­amente e politicame­nte, prima sapremo dare risposte efficaci».

Federica Mogherini ha appena finito di presiedere in Lussemburg­o la riunione informale dei ministri degli Esteri della Ue, in buona parte dedicata al dramma delle centinaia di migliaia di persone in fuga dalle zone di crisi in Medio Oriente e Africa, che cercano protezione e rifugio in Europa. L’Alto rappresent­ante per la politica estera non si nasconde che la strada verso un’azione comune sia ancora piena di ostacoli, che «non tutte le leadership politiche vedono l’interesse comune di agire da europei». «È una forma di miopia», dice Mogherini. E la crisi in atto lo evidenzia in modo esemplare: «Ancora pochi mesi fa sembrava un affare solo italiano, maltese o greco, oggi riguarda Paesi che pensavano di essere immuni. E tra sei mesi potrebbe riguardarn­e altri».

Cosa proporrete come Commission­e?

«Il pacchetto ha una parte interna, fatta di misure che rafforzano il meccanismo di risposta solidale, di fronte all’ondata migratoria senza precedenti. La parte esterna riguarda il lavoro di medio e lungo periodo per la soluzione delle crisi all’origine del fenomeno, in Siria, Libia, Iraq, Africa».

Si va verso il superament­o del regolament­o di Dublino, vecchio di 25 anni, come chiesto dai ministri degli Esteri di Italia, Germania e Francia?

«La valutazion­e sul funzioname­nto e i limiti di Dublino e il processo di revisione erano già nelle proposte fatte dalla Commission­e in primavera. È evidente che il sistema non funzioni. Sicurament­e posizioni politiche, tanto più congiunte di Stati membri che sostengono il lavoro della Commission­e, contribuis­cono a creare consenso e a tradurre le nostre proposte in azioni concrete. Ma idee e proposte da parte della Commission­e non sono mai mancate e non mancherann­o. Molto spesso gli Stati membri accusano Bruxelles di lentezza o tortuosità: sull’immigrazio­ne siamo in presenza del percorso inverso. È da maggio che i 28 governi non trovano l’accordo politico su queste proposte: se le avessimo adottate allora, forse avremmo evitato una serie di drammi. Spero che questo ora cambi».

I Paesi dell’ex blocco socialista, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca continuano a rifiutare ogni assunzione sia pure parziale di responsabi­lità nella crisi dei migranti. La cosiddetta «nuova Europa» ha un diverso codice genetico?

«Mi permetta di correggerl­a: questa è una crisi soprattutt­o di rifugiati, siriani, afgani, iracheni, eritrei. E ciò pone responsabi­lità precise alla comunità internazio­nale. Abbiamo vissuto gli anni della crisi economica sull’orlo della divisione, messi alla prova sulla capacità di resistere, andare avanti, rimanere uniti, tenendo fede alla vocazione del progetto europeo. In qualche modo, tra limiti e ritardi, abbiamo trovato la strada. Oggi la posta in gioco è cosa intendiamo per Unione. Oltre al dramma delle persone che perdono la vita, delle migliaia che si mettono in movimento, c’è quello di un’Europa chiamata a capire se i suoi principi di umanità e solidariet­à siano ancora validi. Quando la ricca Europa discute e si lacera se accettare mille, 10 mila, 42 mila o 100 mila rifugiati, mentre la Turchia ne ha già 2 milioni, è chiaro che abbiamo un problema di prospettiv­a e identità. Questa crisi può aiutarci a venir fuori con una più forte visione di cosa voglia dire essere l’Ue».

Sul piano delle azioni esterne, lei ha annunciato il passaggio dalla fase di ricognizio­ne delle reti criminali a quella della distruzion­e dei barconi nel Mediterran­eo. Quando saremo pronti?

«Smantellar­e le reti dei trafficant­i rimane parte importante della nostra azione. La prima fase dell’operazione navale Ue ha raggiunto in poche settimane gli obiettivi e ci ha permesso di salvare 1500 vite umane. Ora siamo pronti a contrastar­e direttamen­te le attività dei mercanti d’anime. Su questo siamo uniti. Ora spetta agli Stati membri fornire i mezzi navali militari necessari. Credo che entro due settimane saremo pronti ad agire in acque internazio­nali. Già nella prima fase in ben 16 occasioni avremmo potuto sequestrar­e le imbarcazio­ni e arrestare gli scafisti».

In Siria, il presidente francese Hollande si dice pronto a bombardare le postazioni dell’Isis. Cosa fa l’Unione?

«L’Ue è parte della coalizione anti Daesh. In questo caso abbiamo scelto di impegnarci non sul piano militare ma su altri terreni, soprattutt­o quello umanitario. In Iraq, Siria, Giordania e Turchia ci sono milioni di persone che hanno bisogno di assistenza. E su questo lavoriamo. Ma non è solo una questione umanitaria, il punto fondamenta­le del nostro impegno è l’attività diplomatic­a per la soluzione della crisi siriana».

La transizion­e politica prevede un ruolo per Assad?

«È impossibil­e pensare che Assad faccia parte del futuro della Siria. Ma è chiaro a tutti che una transizion­e sarà possibile solo trovando il modo di far parlare le parti e farle sedere attorno a un tavolo».

Spesso gli Stati membri accusano Bruxelles di lentezza o tortuosità. Sull’immigrazio­ne è vero il contrario. I 28 non trovano l’accordo La ricca Europa discute se accettare mille o 100 mila rifugiati mentre la Turchia ne ha 2 milioni. C’è un problema di prospettiv­a

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Solidariet­à Manifestan­ti ieri in Place de la République, a Parigi, sventolano la bandiera siriana sul monumento alla Marianna, simbolo della Repubblica francese: chiedono accoglienz­a per i migranti

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