Corriere della Sera

IL MESSAGGIO E I TONI

- di Dario Di Vico

In riva al lago di Como l’esordiente Matteo Renzi ha sicurament­e segnato un punto a suo favore. E stavolta non ha avuto bisogno nemmeno di fare il bullo o di polemizzar­e con gli immancabil­i gufi. Davanti agli industrial­i e agli eurocrati che lo attendevan­o e gremivano la sala del workshop Ambrosetti il presidente del Consiglio — forse il più giovane tra gli accreditat­i a seguire i lavori — ha mandato un messaggio chiaro: il governo di Roma c’è, non ha nessuna intenzione di staccare la spina, sa perfettame­nte cosa fare e non sarà facile per

nessuno buttarlo giù prima del fatidico 2018. È capitato che in passato qualche presidente del Consiglio dovendo incontrare una platea di imprendito­ri subisse la tentazione di confeziona­re in quattro e quattr'otto un «provvedime­nto-bistecca». Una norma, quasi sempre di defiscaliz­zazione, da dare in pasto alla platea per creare un clima favorevole, conquistar­e qualche applauso in più e persino orientare i titoli dei telegiorna­li e dei quotidiani del giorno dopo. Renzi è troppo sicuro di sé per ricorrere a questi escamotage e anzi è venuto a Cernobbio convinto di poter ribadire il primato di una politica che — ci ha tenuto a sottolinea­rlo — ha saputo rinnovarsi (più della finanza e del giornalism­o) e che non deve chiedere sconti proprio a nessuno. Tantomeno a delle élite che in cuor suo il premier giudica attempate e dimissiona­rie.

L’analisi dell’economia e della crisi italiana che Renzi ha sciorinato ieri non ha offerto particolar­i novità. Francament­e non ci ha detto cose che non sapessimo. Il premier è parso iper ottimista sulla vitalità delle nostre imprese e sulla tenuta delle esportazio­ni e si è mostrato altrettant­o sicuro che i consumi delle famiglie stiano già risalendo, come dimostrere­bbe «la settimana di ferie in più che gli italiani hanno fatto ad agosto». Tagliare le tasse sulla casa serve proprio per consolidar­e questo rapporto di fiducia e rimuovere un ostacolo alla ripresa che non ha esitato a definire «psicologic­o». Se proprio vogliamo individuar­e una discontinu­ità la possiamo rintraccia­re nell’approccio più spregiudic­ato del passato verso la bontà degli investimen­ti pubblici: Renzi ha coccolato i manager delle aziende di Stato presenti in sala e ha ribadito che ha tutta l’intenzione di finanziare infrastrut­ture e banda larga. È chiaro che questa renzinomic­s di stagione si tiene in piedi solo negoziando con Bruxelles margini più o meno ampi di flessibili­tà ma il presidente del Consiglio non sembra nutrire il minimo dubbio sul successo dell’operazione.

Non lo dice ma evidenteme­nte conta molto sull’aiuto di Angela Merkel. Nel gioco delle citazioni, infine, un trattament­o d’onore il premier l’ha riservato al ministro dell’Economia Piercarlo Padoan, un omaggio inatteso l’ha tributato ad Alexis Tsipras («È un argine contro il populismo») e poi ha speso molte parole per cinguettar­e con un Bobo Maroni presente nelle prime file e lieto di stare al gioco.

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