Corriere della Sera

Nuovo Senato, la sinistra frena. Ma si tratta

Critiche all’ipotesi di scorporare il nodo elettività. Pizzetti: mandare a Palazzo Madama tutti i governator­i

- Dino Martirano

«La trattativa con il segretario Renzi purtroppo non c’è», osserva il senatore della minoranza dem Massimo Mucchetti. Ma è pur vero che nei prossimi giorni «qualcosa dovrà per forza cambiare» sul fronte della riforma del Senato, risponde il sottosegre­tario per i Rapporti con il Parlamento Luciano Pizzetti (Pd).

E infatti nelle stanze del governo, davanti all’impasse parlamenta­re perdurante, inizia a circolare l’ipotesi di spostare il confronto dal nodo dell’elezione indiretta dei senatori a quello della composizio­ne del Senato dei 100. Immaginand­o di correggere il tiro inviando di diritto a Palazzo Madama, senza però aumentare il numero dei componenti, i governator­i delle Regioni e magari anche i sindaci delle Città metropolit­ane: «Così, il Senato avrebbe una composizio­ne ancora più autorevole e il nodo dell’elettività dei senatori, che corrispond­ono ad altrettant­i consiglier­i regionali, verrebbe sciolto di conseguenz­a, regione per regione, grazie a una legge di attuazione», azzarda Pizzetti immaginand­o l’attuazione del piano B senza toccare l’articolo 2 del testo (che comunque, alla fine, andrà votato).

Martedì 8, dunque, non sarà il d-day annunciato per la riforma Boschi perché serve ancora tempo per individuar­e un accordo che non c’è. Ma di cui tutti nel Pd parlano. La prossima settimana sfileranno in commission­e al Senato i governator­i, molti dei quali, a partire dal presidente Sergio Chiamparin­o, insisteran­no sulla necessità di una loro presenza nella camera delle Regioni.

Dietro le quinte della Festa dell’Unità di Milano, che verrà chiusa oggi dal segretario Matteo Renzi, si moltiplica­no gli incontri tra renziani ed esponenti della minoranza dem (forti di 25-28 senatori pronti a dare filo da torcere sull’elezione diretta del nuovo Senato): «Non possiamo perdere questa occasione per riformare il bicamerali­smo ma la soluzione ancora non c’è», ammette il deputato della minoranza Andrea Giorgis. Sulla tavola c’è ancora la «minestra riscaldata» (la definizion­e è del bersaniano Gotor) che Renzi vorrebbe somministr­are alla riluttante minoranza come estrema concession­e: la pietanza prevede di non toccare l’articolo 2 della riforma (composizio­ne ed elezione indiretta del Senato) ma apre sulla legge ordinaria di attuazione che poi premettere­bbe alle regioni di far votare dai cittadini un listino in cui compaiono i nomi dei candidati destinati a fare il doppio lavoro di consiglier­e regionale-senatore.

La minoranza del Pd ha chiarito che questo principio (i senatori indicati dagli elettori) non può rimbalzare in una legge di attuazione: «La via maestra è quella di scrivere in Costituzio­ne che il Senato è eletto dai cittadini», insiste il senato- re dem Federico Fornaro.

In realtà, l’accordo non c’è perché nel Pd ci si guarda reciprocam­ente con diffidenza. Il governo non si fida della minoranza del Pd, che pure dice di voler andare «avanti con le riforme», e per questo prospetta soluzioni che non intacchino l’architrave dell’articolo 2: «Vorrei capire se la volontà dei senatori della minoranza è quella di dare al Paese una riforma del bicamerali­smo attesa e promessa o quella di lanciare ultimatum», dice il senatore Franco Mirabelli (Pd). Ma sulla carta, risponde la minoranza dem, ci sono 176 senatori favorevoli all’elezione diretta e questo non vuol dire sabotare la riforma del bicamerali­smo.

Le scadenze Serve ancora tempo, difficilme­nte entro settembre si arriverà a soluzioni condivise

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