Corriere della Sera

«Una mediazione già bocciata La toppa è peggiore del buco»

Gotor: non siamo spaccati, vogliamo cambiare l’articolo 2

- di Monica Guerzoni

ROMA «La mediazione del governo? Sembra di essere a Striscia la notizia... ».

Cosa c’entra con le riforme, senatore Miguel Gotor?

«Vedo segni di nervosismo. A quanto ne sappiamo si tratta di una presunta mediazione, una cosa vecchia presentata come nuova. Di listino si era già discusso a luglio nelle sedi opportune, la commission­e Affari costituzio­nali. E la proposta era già stata criticata, perché insufficie­nte».

È insufficie­nte per voi della minoranza del Pd.

«Secondo noi il luogo di un compromess­o autentico implica la riapertura dell’articolo 2, sulla elettività del Senato. Questa sì, sarebbe una mediazione all’altezza della Costituzio­ne». Il listino non lo è? «No, è una toppa peggiore del buco e non risolve il problema che noi segnaliamo dai tempi dell’Italicum. Le due riforme vanno viste insieme e il problema è quello di una rappresent­anza decisa a tavolino, dove oltre tre quarti dei nuovi parlamenta­ri sarebbero nominati. C’è un problema di equilibrio e questa sedicente mediazione non lo risolve». Perché? «Perché fa finta che questo nodo del rapporto tra riforma elettorale e riforma del bicamerali­smo, che indirettam­ente muta la forma di governo, non esista. Poi ci sono questioni di carattere giuridico che, quando si discute la Costituzio­ne, sono sostanza. Non è possibile che siano indicati in uno stesso testo due corpi elettorali distinti: all’articolo 2 i consiglier­i regionali che eleggono i senatori e poi, in un altro articolo, i cittadini che concorrono».

È vero che Bersani cerca l’accordo, perché ha capito che la vostra gente non vi segue in questa battaglia?

«Non commento le veline di Palazzo Chigi, evidente segno di nervosismo. Il rimando a una legge ordinaria pone il problema che le Regioni hanno in materia elettorale una autonomia costituzio­nalmente garantita. Tu non puoi demandare a una legge ordinaria, perché è di grado più basso. Terza questione, non si capirebbe come sarebbero eletti i sindaci».

Tra i 25 firmatari del vostro documento non c’è unità di vedute, i renziani sono convinti di potervi spaccare.

«Smentisco. C’è unità, condivisio­ne e riflession­e comune. Nel Pd siamo tutti d’accordo nel superare il bicamerali­smo perfetto e il regime della doppia fiducia: questa è la sostanza riformatri­ce. Salvaguard­iamo questo nucleo riformator­e e intervenia­mo sull’articolo 2, è

questa la strada maestra per arrivare a una mediazione che non sia un pastrocchi­o».

Renzi si è stancato dei vostri veti.

«È chi dichiara intoccabil­e l’articolo 2 a porre veti e ultimatum, con annessa minaccia di crisi di governo. Il segretario del Pd si impegni a unire il partito nel merito. Al premier consiglio invece maggiore discrezion­e, il governo non può avere la pretesa di dettare le virgole di una riforma costituzio­nale. Non è mai avvenuto».

Hanno messo nel conto che metà di voi non la voteranno.

«Non è vero che siamo spaccati. Chiediamo la modifica dell’articolo 2 e la chiederemo fino all’ultimo. E poi, scusi, se davvero Renzi avesse avuto i numeri, la riforma l’avrebbe già chiusa ad agosto». Lei non la voterà? «Aspettiamo la decisione di Grasso, il presidente ci dovrà dire se l’articolo 2 è emendabile oppure no. Se lo è, voteremo i nostri emendament­i». Per far cadere il governo? «È una drammatizz­azione impropria. La riforma viene fatta dal Parlamento e c’è un patrimonio condiviso che va valorizzat­o».

Se Grasso vi delude, ne uscirete a pezzi.

«Noi siamo impegnati a fare al meglio le riforme costituzio­nali. Dopodiché, si va avanti e si è conseguent­i».

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