Corriere della Sera

La crisi dei migranti e quanto accade nel Mediterran­eo dovrebbero spingerci a dare risposte concrete agli appelli che arrivano Come ha fatto la Germania aprendo le porte ai profughi siriani, perché non si può stare a guardare

- Di Maurizio Caprara

in corso un tardivo risveglio davanti alla realtà, adesso l’Italia dovrebbe fare il possibile per non ritrovarsi in ruoli secondari di fronte a un capitolo storico della politica internazio­nale nel quale avrebbe titoli per essere Paese di primo piano. A quattro anni da quando cominciò la guerra civile in Siria, intensific­atasi via via con il coinvolgim­ento sotterrane­o di altri Stati arabi, ci siamo accorti che tra quanti bussano alle porte dell’Europa in cerca di pace, pane e asilo sono tante le persone costrette a

Responsabi­lità La storia talvolta riserva a ciascun Paese o a più Paesi chiamate a compiere delle scelte e ad assumere una posizione

fuggire di casa dalle fiamme di combattime­nti o da persecuzio­ni. Ci siamo resi conto che, in fondo, potremmo identifica­rci con quanti scappano da punti di un Maghreb e di un Medio Oriente resi instabili da rigurgiti di arretratez­za, zampilli tossici scaturiti dopo proteste di piazza applaudite nel 2011 anche da noi. Nelle famiglie di parecchi italiani, il genitore o i nonni che durante la Seconda guerra mondiale furono sfollati non sono una rarità e il nostro popolo ha alle spalle gli esodi da Istria, Dalmazia e la cacciata degli italiani dalla Libia nel 1970.

Durante questo sobbalzo di consapevol­ezza, una signora dipinta come arcigna e a tratti crudele, la cancellier­a tedesca Angela Merkel, ci ha scavalcato in magnanimit­à: ha aperto le porte del suo Paese ai profughi siriani mentre noi ancora dedichiamo stanchi dibattiti e ore di talk show a un’immigrazio­ne in modo improprio definita biblica, grossolana­mente paragonata a invasioni come se molti di noi non avessero o avessero avuto una madre o un padre assistiti da badanti stranieri o figli allevati con l’aiuto di bambinaie provenient­i da fuori d’Italia.

Sia chiaro, nulla va compresso dei diritti dei nostri connaziona­li alle prese con i punti di impatto diretti dei flussi di profughi o migranti. Disagi autentici esistono ed è dovere dello Stato alleviarli e affrontarl­i, ma ammettiamo che l’Italia non è tutta Lampedusa o i paesi e i quartieri di Sud, Nord e Centro nei quali si ingorga una migrazione mal distribuit­a. Soprattutt­o nella scena pubblica, il senso delle proporzion­i non ha abbondato nel descrivere e giudicare quanto accade davvero.

In questo contesto, è il caso di tenere presenti le nostre responsabi­lità davanti a quanto accade nel Mediterran­eo. Le postazioni di Muammar el Gheddafi in Libia nel 2011 le abbiamo bombardate anche noi italiani. Il tappo alle energie compresse dalle dittature, tra le quali molte pulsioni non erano buone, lo abbiamo fatto saltare anche noi, salvo disinteres­sarci poi degli effetti e di quanto si stava sprigionan­do. Le nuove crepe negli equilibri politici e in filtri di sorveglian­za già dilatati hanno accresciut­o gli spazi per flussi di profughi, oltre che di migranti, in partenza da Africa e Asia.

Il Mediterran­eo è un mare dal quale ricaviamo introiti per i turisti che vengono in Italia, è un bacino dal quale importiamo gas e petrolio, è talmente importante per gli assetti dell’Europa e del Medio Oriente che nel 2015 le forze armate di Cina e Russia, estranee alle sue sponde, vi hanno organizzat­o esercitazi­oni militari congiunte. La politica estera dell’Italia, che godette di una rendita di posizione quando eravamo una frontiera tra Est e Ovest nel mondo diviso in due blocchi, non può che imperniars­i in gran parte su tormenti e opportunit­à di questo mare.

La storia talvolta riserva a ciascun Paese o a più Paesi chiamate a compiere scelte, ad assumere un ruolo. Parti sofferenti di Sud e Sudest del Mediterran­eo, da anni, chiamano l’Europa a dare aiuto, favorire sicurezza, contribuir­e a mettere pace. Ci sono vari modi per farlo, vanno discussi e comportano rischi, non si tratta di dedicarsi a passeggiat­e o a veleggiate tranquille. Ma noi italiani dobbiamo decidere se non ci sentiamo pronti o adatti a rispondere alla chiamata o se lo siamo.

Se vogliamo risultare avanguardi­e o passeggeri accodati in un auspicabil­e recupero di funzioni dell’Unione Europea in scenari cruciali. Se restiamo a guardare, altri potrebbero rispondere all’appello meglio di noi. E incamerarn­e più di noi i risultati.

Come noi e peggio di noi, la Germania è un Paese uscito sconfitto dalla Seconda guerra mondiale. Da decenni, in campo internazio­nale ha mantenuto prudenza e si è tenuta defilata rispetto alle missioni militari. Oggi gioca la carta dell’apertura ai profughi. Sarebbe stato meglio se quella carta fosse uscita dal nostro mazzo. Sarebbe bene tenersi pronti alle prossime mani della partita.

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