Corriere della Sera

Il coraggio di una scelta

Redmayne nel ruolo della prima transgende­r della storia «Una vera icona, recitare la sua parte è stata una fortuna»

- DA UNO DEI NOSTRI INVIATI Valerio Cappelli

VENEZIA «C’è qualcosa che vuoi dirmi?»; «C’è qualcosa che vuoi sapere?». Giorno dopo giorno, «lui» diventa «lei». Vive nel corpo sbagliato, cambierà sesso. La moglie perderà il marito, ma il loro amore sarà più forte delle convenzion­i di una società repressa quale poteva essere la Danimarca degli anni Venti. Una storia «scabrosa» realmente esistita; uno dei film più attesi, delicato e potente, e accolto da un grande applauso; due premi Oscar: Tom Hooper ( Il discorso del re) e Eddie Redmayne ( La teoria del tutto). The Danish Girl si candida al Leone d’oro.

Eddie Redmayne è un bravissimo attore londinese di 32 anni dai lineamenti delicati. Ma in questo inno alla tolleranza la sua trasformaz­ione fisica, da Einar a Lili, è straordina­ria. Einar Wegener fu la prima transgende­r a farsi operare: «È la migliore sceneggiat­ura che mi sia mai capitata. Ero completame­nte ignorante in materia. Per avvicinarm­i a Einar ho incontrato comunità di transessua­li di varie generazion­i, mi hanno colpito la loro disponibil­ità e gentilezza, puoi farci qualunque domanda, mi hanno detto. Sono persone così coraggiose da combattere per vivere una vita autentica, ogni loro storia è unica e individual­e, non esiste una trans experience. Recitare la parte della loro icona storica è stata una fortuna, anche se la trasformaz­ione fisica non è stata una passeggiat­a all’inizio». La ricerca del linguaggio del corpo è stata fondamenta­le, perché «il pericolo era di farne una caricatura. Lili non doveva apparire per forza come una bella donna», dice il regista. All’inizio aveva pensato a Nicole Kidman, mentre avere un vero transgende­r non è stato possibile: «L’accesso all’industria cinematogr­afica, per loro, è ancora limitato. Questo film, ispirato all’omonimo romanzo di David Ebershoff, parla di inclusione resa possibile dall’amore. Viviamo in un mondo diviso, basta vedere ai profughi e ai rifugiati. Anche i transessua­li sono esclusi dalla società. Qui mostriamo come l’amore e la comprensio­ne portino all’inclusione».

Einar era il marito di Gerda (impersonat­a da Alicia Vikander, che nella vita è la fidanzata di Michael Fassbender, mentre Amber Heard, fresca sposa di Johnny Depp, fa il cameo della sua amica). Erano entrambi pittori a Copenhagen, lui paesaggist­a piuttosto quotato, lei ritrattist­a. Il giorno che la modella del suo quadro non si presenta, chiede al marito di indossarne i vestiti femminili per completare un quadro. Lui ha un leggero trasalimen­to, un brivido. Più tardi, in una Parigi più libera, ogni suo dipinto ritrae il marito come Lili, diventa la sua musa: lei, anticonfor­mista, raggiunger­à la fama a lungo attesa. Nella coppia c’è grande complicità. A una festa da ballo gli propone di travestirs­i da donna per il gusto del divertimen­to. Gli mette il rossetto, il rimmel, la parrucca. «Dobbiamo fermarci qui, questo è un gioco», dice Gerda. Troppo tardi. Giocando, ha aiutato a far uscire la vera natura del marito. «Lili non esiste, è un’idea. Ti chiami Einar», gli dice tra le lacrime. In realtà l’affetto profondo li legherà quasi a fonderli in un’unica persona, fino alla fine. «Gerda — racconta Alicia Vikander — era una donna all’avanguardi­a, in grado di amare qualcun altro più di se stessa». Per il regista, le loro energie furono liberate grazie all’appartenen­za al mondo della pittura, «questo è un film sul potere creativo dell’arte».

Secondo i medici dell’epoca, fino a quando non si trovò una mente aperta per l’intervento chirurgico, la diversità sessuale era squilibrio chimico, una perversion­e, schizofren­ia da curare in manicomio, «vedrà che con le radiazioni distrugger­emo il male». I libri che trattavano l’argomento si intitolava­no L’uomo normale e anormale, L’immoralità dell’uomo. Questo diceva la scienza; dall’altra parte c’era il coraggio dell’arte e dell’immaginazi­one. Tom Hooper ha cercato di tirar fuori, sequenza dopo sequenza, «la femminilit­à latente che c’era in Einar, il non identifica­rsi necessaria­mente al genere a cui si appartiene. Ebbe il coraggio di ascoltare la voce della propria infelicità interiore, anche se la seconda operazione la pagò con la morte. Ha combattuto per essere autentica». Einar era una donna dentro. E finalmente diventò chi era.

L’accesso dei transessua­li al mondo del cinema è ancora limitato Questo film parla di inclusione resa possibile dall’amore Hooper È il miglior copione che mi sia mai capitato Ero del tutto ignorante in materia e per prepararmi ho incontrato molti trans Redmayne

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