Come una favola con lacrima finale
Il primo titolo italiano in concorso alla Mostra, L’attesa di Piero Messina, deve dividere il cartellone con The Danish Girl di Tom Hooper ed entrambi i film sembrano accomunati da un estetismo esasperato, come per «mascherare» dietro una forma accademicamente impeccabile un soggetto in qualche modo eluso o sfuggente. L’esordiente Messina (insieme a Giacomo Bendotti, Ilaria Macchia e Andrea Paolo Massara) rielabora con molta libertà La vita che ti diedi di Pirandello, asciugando il dramma di una madre che si interroga sul senso della maternità al solo rapporto con la fidanzata del figlio. Il film inizia infatti con l’arrivo della giovane Jeanne (Lou de Laâge) nella villa del fidanzato ai piedi dell’Etna, ma lui non c’è, il custode (Colangeli) è molto elusivo e la madre (Juliette Binoche) prima rimanda l’incontro poi si comporta in modi strani. Lo spettatore che ha visto un funerale all’inizio del film può intuire cos’è accaduto, non così la ragazza che fatica nel tenere a freno la propria esuberanza (fa anche amicizia con due ragazzi di passaggio) di fronte ai silenzi e alle tristezze della madre. Giocato tutto sul pittoricismo delle inquadrature e sull’imperscrutabilità della natura, il film vorrebbe scavare nell’impossibilità di elaborare un lutto che annebbia anche il senso della realtà. Ma l’esilità dello spunto (mai affrontato dal punto di vista psicologico ma solo da quello impressionistico) finisce per obbligare il regista a interminabili primi piani e a vuote immagini «poetiche», che dovrebbero parlare da sole e invece ottengono solo di rendere inerte un film troppo compiaciuto di sé. Anche The Danish Girl ( La ragazza danese) si muove dentro un eccesso di ricercatezza formale, ma nel film di Tom Hooper (sceneggiato da Lucinda Coxon a partire dal romanzo di David Ebershoff) questa scelta pare servire a edulcorare e smussare la storia del primo transessuale d’Europa. Attratto dai vestiti femminili, il paesaggista Einar Wegener (Eddie Redmayne) parte dalla scoperta della propria sensibilità femminile per arrivare alla convinzione di essere una donna dentro un corpo maschile, aiutato lungo tutto questo percorso dalla moglie Gerda (Alicia Vikander). Una storia vera e attualissima che però il regista sembra preoccuparsi soprattutto di disinnescare e ammorbidire: immagini sempre raffinatissime, di un colorismo sapiente ed elegante (la Parigi déco, la Copenhagen art nouveau, la Dresda simil Bauhaus), un «non detto» che a volte dà l’impressione della censura, un percorso di accettazione di sé che a parte qualche medico reazionario sembra trovare una comprensione generalizzata… Verrebbe voglia di saperne di più, di conoscere i diari che Einar (diventato Lili) scrisse, di scavare dietro i sorrisi della moglie: invece ogni asperità, ogni elemento d’attrito o di frizione scompare a favore di una specie di favola educativa con lacrima finale, in sintonia col cinema politically correct che oggi va per la maggiore. Terzo film della giornata lo statunitense Equals ( Uguali) di Drake Doremus, che ambienta nel solito futuro distopico una società ipertecnologica dove i sentimenti sono messi al bando, salvo naturalmente le pericolose eccezioni, come Nia (Kristen Stewart) e Silas (Nicholas Hoult). Una storia già letta mille volte e vista cento, che ti aspetti evolva in qualche modo. Invece il regista Doremus (su sceneggiatura di Nathan Parker) non ha nemmeno il coraggio di virare verso il dramma alla Giulietta e Romeo e approda a un supposto lieto fine vuoto e inutile come tutto il film. The Danish Girl di Tom Hooper L’attesa di Piero Messina Equals di Drake Doremus
da evitare interessante da non perdere
capolavoro Passerella L’attrice francese Lou de Laâge (25 anni) ieri alla première del film «L’attesa»
La storia
In una società del futuro stabile e non violenta vengono creati, attraverso esperimenti genetici, esseri umani incapaci di provare sentimenti, gli «equals». Un equilibrio di convivenza perfetta che si incrina quando Mia (Kristen Stewart) incontra Siles (Nicholas Hoult)