Differenze
A 18 anni si diventa «adulti», ma quando si diventa «vecchi» le norme non lo dicono
giuristi, ma capire quali sono i diritti dei pazienti riguarda tutti — sottolinea Patrizia Borsellino, direttore del Master e docente di Filosofia del diritto nell’Università degli Studi di Milano-Bicocca —. Non sono le norme a mancare, ma non sempre la loro applicazione è corretta, o lo è fin troppo perché la legge viene applicata in modo eccessivamente rigido.
«Benché i molto anziani e i minori appartengano alla grande categoria dei pazienti fragili - che comprende anche malati psichiatrici e pazienti con deficit cognitivi -, le rispettivi situazioni sono molto diverse — spiega Borsellino —. Mentre per i giovani c’è un preciso limite oltre il quale non sono più minori, ovvero i 18 anni, non è scritto da nessuna parte quando si diventa vecchi».
«Per i minori, proprio per il fatto che ci sono limiti di età precisi, le norme vengono spesso superate dalla prassi, da sentenze su specifici casi. Per la terza e quarta età, invece, — puntualizza Borsellino — accade il contrario. Leggi assai specifiche che tutelano l’espressione della volontà non sempre sono rispettate nella pratica».
Ma anche tra gli stessi minori ci sono differenze; con il termine si indicano neonati, bambini, adolescenti, e quasi maggiorenni... «Certo, ed è proprio per questo — prosegue Borsellino — che per i “grandi minori” sono previste norme particolari che abbassano il fatidico limite dei 18 anni per poter esprimere il proprio volere. A 16 anni si può riconoscere un figlio, a 15 anni decidere autonomamente dei propri rapporti di lavoro. E nella legge sulla interruzione di gravidanza è scritto che è sempre la donna la sola titolare della scelta e non il Giudice Tutelare, cui pure è necessario rivolgersi se l’interessata è minorenne e non ha l’assenso dei genitori. Il Giudice Tutelare dovrebbe limitarsi ad esercitare un controllo sulla “regolarità” della procedura».
«Al di là di questo, — continua Patrizia Borsellino — una sensibilità nuova si è andata affacciando negli ultimi anni. Già nella Convenzione di Oviedo sui Diritti umani e la Biomedicina, del 1997, si legge che, anche se il minore non può manifestare il consenso a un intervento medico, il suo parere deve essere tenuto nella massima considerazione. E nella Carta di Nizza sui diritti fondamentali nella Unione europea (Nizza 200), recepita nel trattato di Trattato di Lisbona del 2009, si dichiara che i bambini debbono poter esprimere la loro opinione sulle condizioni che li riguardano».
E nel caso degli anziani? «L’età — risponde Borsellino — è un parametro importante per regolare molti aspetti della vita. Pensiamo, per esempio, “all’età della pensione”. Ma non per questo a 65, a 70 o 80 anni si entra in una nuova categoria giuridica. Poiché, però, la medicina non ha sconfitto le malattie, ma le ha cronicizzate, si pone il problema degli anziani che hanno mantenuto integre le loro capacità decisionali, ma si scontrano con pregiudizi, consolidati dalla prassi. Anche in questo caso ci sono però norme che valorizzano la pienezza dei diritti indipendentemente dall’età. Penso al Trattato di Amsterdam del 1997 che
Il fatto che una persona avanti negli anni rifiuti le cure si pensa spesso sia segno d’incapacità
chiarisce Borsellino — e se l’anziano, quando era in pieno possesso delle sue facoltà, ha designato una persona, il Giudice non potrà non tenerne conto. La presenza di un amministratore di sostegno non significa che la persona sia “incapace” e se c’è un conflitto tra la volontà del rappresentante e quella del rappresentato, ancora in grado di esprimerla, o che ha lasciato direttive, è la seconda a prevalere. Purtroppo nella pratica il solo fatto che un anziano rifiuti delle cure è visto come un segno di incapacità».
Esiste ancora la possibilità di far dichiarare una persona incapace di intendere e volere? «L’interdizione è un istituto tuttora vigente - nato pensando più alla protezione del patrimonio che alle necessità di cura - cui si fa ora minor ricorso» conclude Patrizia Borsellino.