SE 36 ANNI NON BASTANO ANCORA
Ha ragione il nostro Michele Ainis. Sarebbe stato preferibile chiudere quest’annosa questione della riforma istituzionale con un unico articolo: «Il Senato è abolito». Lo ha detto pochi giorni fa anche l’uomo più saggio della minoranza del Partito democratico, Pier Luigi Bersani. E, con lui, molti altri politici e commentatori intervenuti nel dibattito sulla — pressoché unanimemente — auspicata eliminazione del bicameralismo paritario. Ma nessuno si è limitato a proporre quelle quattro decisive parole. Ognuno di loro si è poi sentito in obbligo di aggiungere che «certo, si dovrebbe nel contempo cambiare questo, questo e questo». Senza rendersi conto probabilmente che così si ricomincerebbe daccapo.
Si ripete, in grande, quello che era già accaduto con le Province: l’unica soluzione apparve essere quella di abolirle sia pure in modo imperfetto, contando che eventuali aggiustamenti sarebbero venuti con il tempo. Stesso discorso vale oggi per la Camera alta. Anche la questione dell’elettività dei senatori a questo punto si presenta solo come un modo per riaprire il dossier, rimettere in discussione la legge elettorale e riportare in mare aperto la nave della riforma (nell’evidente speranza che affondi). Stefano Rodotà, che di questa trasformazione del Senato in qualcosa di simile al Bundesrat tedesco è stato fin dall’inizio un combattivo e coerente avversario, ha avuto l’onestà intellettuale di metterlo per iscritto: «Oggi la residua “battaglia” per tornare solo all’elezione diretta dei senatori può essere poca cosa, se non accompagnata da altre modifiche».
Non bastano le politiche di deterrenza. Per il disarmo nucleare bisogna fare di più. Lo sostiene un editoriale del Japan Times, diretto da
Takashi Kitazume. Il quotidiano nipponico prende spunto dalla tragedia che 70 anni fa colpì il Giappone. Da allora ogni anno le nazioni si impegnano a non ripetere il tragico esperimento. Ma bisogna andare oltre le celebrazioni. E creare organismi territoriali che tengano alta la guardia contro le smanie di rinunciare alla battaglia per il disarmo.