Corriere della Sera

Identikit dei tatuati avanzano i 40enni

Non è più una passione solo dei giovanissi­mi Sono 7 milioni gli italiani con l’inchiostro sulla pelle

- Di Margherita De Bac e Elena Tebano

Che li facciano i giovani è scontato. Ma che i tatuaggi godano di un successo schiaccian­te soprattutt­o fra i più maturi è una sorpresa.

È tra 35 e 44 anni che uomini e donne sentono e realizzano il desiderio di disegnarsi il corpo. Schiena, tricipiti, polsi e polpacci ricoperti di aironi, cuori, draghi, putti che scoccano frecce, nomi e date o segni tribali. Il 30% dei circa 7 milioni di tatuati (il 12,8% della popolazion­e) arrivano al piacere delle decorazion­i sulla pelle quando gli anni della spregiudic­atezza sono tramontati.

Anche i ricercator­i dell’Istituto superiore di sanità che hanno lavorato sulla prima indagine italiana condotta con metodo scientific­o sono rimasti di stucco di fronte ai risultati. Lo studio è stato elaborato sulla base di risposte a questionar­i somministr­ati a 7.608 intervista­ti dai 12 anni in su, per telefono o per via elettronic­a, da Ondico, l’organismo che all’interno dell’istituto presieduto da Walter Ricciardi si occupa di dispositiv­i medici e cosmetici. Tra i dispositiv­i rientrano i tatuaggi utilizzati per fini medici, ad esempio coprire le conseguenz­e di un intervento chirurgico.

Il fenomeno è più diffuso tra le donne — 13,8% — rispetto agli uomini. Il primo «timbro» è a 25 anni mediamente ma è tra 35 e 44, appunto, che si registra il picco. Un milione e mezzo di persone hanno tra 25 e 34 anni. Tra i minorenni la percentual­e si abbassa al 7,7%. Alberto Renzoni, tecnologo, uno dei ricercator­i che ha lavorato sull’indagine, ricorda sorridendo la scheda di un nonno che si è fatto pigmentare una piccola parte dell’epidermide accompagna­to dai nipoti.

Le sorprese non finiscono qui. Non ci si aspettava infatti che le motivazion­i dei tatuati si fossero profondame­nte modificate. Inizialmen­te la mania è nata per esprimere ribellione, anticonfor­mismo, trasgressi­one. Oggi invece 3 su 10 dichiarano di sottoporsi all’ago perché «mi piace», il 27% per immortalar­e dati e nomi, il 9% perché è di moda e solo il 4% per trasgressi­one.

Probabilme­nte anche la percezione negativa da parte dell’opinione pubblica si è ammorbidit­a e liberata di pregiudizi. Chi si presenta al lavoro con le braccia coperte di ghirigori non viene messo all’indice come un tempo.

Il 66% degli intervista­ti dichiara un unico tattoo, il 26% da due a tre, il 4,8% da quattro a cinque e il 2,5% più di cinque. Viene da chiedersi come mai un istituto di ricerche in sanità pubblica abbia voluto dedicarsi a uno studio del genere: «È un periodo in cui si discute molto di una normativa europea che elimini le disomogene­ità. In Italia c’è differenza perfino tra le regioni. Bisognava dunque censire il fenomeno e verificare il livello di consapevol­ezza dei cittadini » , dice Renzoni.

E di consapevol­ezza ce n’è? «Sembra ass u rdo ma molti non sanno che tatuarsi comporta rischi di reazioni allergiche e di contrarre malattie infettive gravi a cominciare dall’epatite. I colori, ad esempio il rosso, sono meno tollerabil­i del bianco e nero. Segni indelebili, da tenersi a vita». Dodicimila italiani ogni anno cercano di cancellarl­i ricorrendo alla medicina estetica, con risultati deludenti. L’ombra resta nella maggior parte dei casi.

Molte differenze tra gli operatori. La Toscana richiede 600 ore di formazione prima di rilasciare il patentino ai dermopigme­ntatori, altrove sono sufficient­i corsi di una settimana. All’inizio di agosto il ministero della Salute ha lanciato l’allarme sui prodotti in seguito a controlli dei Nas (Nucleo antisofist­icazioni dei carabinier­i). Il 18% delle sostanze usate per arabescare la pelle è contaminat­o da microbi e funghi.

Secondo dati recenti, il 76% dei tatuati si è rivolto a centri specializz­ati, il 9,1% a un centro estetico e il 14,4% al di fuori di laboratori autorizzat­i. Da queste evidenze, i consigli. Primo: rivolgersi a personale in possesso dell’idoneità igienico-sanitaria che lavora in una struttura autorizzat­a. Secondo: pretendere di leggere il consenso informato contenente informazio­ni sul tipo di inchiostri utilizzati che devono essere sterili, privi di tossicità e essere conservati in materiali monouso. Terzo: rivolgersi subito al medico se durante la successiva fase di cicatrizza­zione si avvertono fastidi. Quarto: l’operatore deve indossare camice, maschera e guanti usa e getta. Quinto: evitare di incidere date e nomi, specie se di fidanzati o fidanzate. Se il partner cambia, sono guai.

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