Le condizioni dell’Ue all’Italia «Road map sull’accoglienza o niente partenze per 3 mesi»
Ci sono precise condizioni che l’Italia dovrà rispettare per poter distribuire i profughi negli altri Stati. E la più importante riguarda l’obbligo di trasmettere alla Commissione europea una « road map » su quanto è stato fatto e si farà sull’accoglienza. Se la relazione non sarà consegnata nei termini previsti, per tre mesi verrà sospeso il trasferimento dei migranti. Il piano messo a punto dallo staff di Jean-Claude Juncker certamente penalizza il nostro Paese rispetto a Grecia e Ungheria, che con noi sono inserite nella lista di chi viene inizialmente esentato dalla divisione degli stranieri da accogliere visto che ha già abbondantemente superato le quote fissate. La linea stabilita dal governo è quella di accettare le imposizioni purché si raggiunga l’intesa che porti effettivamente a un sistema «permanente e obbligatorio per tutti». Ma su un punto non si torna indietro: nulla sarà fatto — soprattutto non saranno aperti i centri di smistamento — sino a quando l’accordo non sarà operativo. E dunque, in vista della riunione del 14 settembre, si analizzano i nuovi capitoli contenuti nel testo, le regole sulle quali avviare comunque una mediazione.
Percentuale su 8 mesi
Inizialmente si pensava di poter far andare via circa 80 mila migranti. E invece siamo fermi a poco più di 15 mila, che sommati a quelli già calcolati nel luglio scorso portano la cifra a poco meno di 40 mila (su un totale di 115 mila persone al momento in accoglienza). Rispetto a Ungheria e Grecia si tratta di cifre notevolmente inferiori e il motivo è semplice: si è fissata una percentuale al 36 per cento ma riguarda soltanto gli stranieri giunti tra gennaio e agosto del 2015 e non quelli giunti precedentemente. Un criterio che si mira a far modificare sul lungo periodo, quando si andrà a regime e si potrà avere un quadro più preciso sui numeri nei vari paesi.
La sanzione dello 0,1
I Paesi che decidono di avvalersi dell’«opt-out» dovranno versare una sanzione legata al Pil. Nel testo si parla di una percentuale che può arrivare fino allo 0,1 ma qualcuno pensa che non si andrà oltre lo 0,002. In questo caso si tratterebbe di una somma irrisoria e non «gravemente onerosa» come si era stabilito inizialmente. In realtà la Commissione — al termine di negoziati andati avanti per tutta la settimana e tuttora in corso — ritiene più efficace limitare al massimo le possibilità di chiamarsi fuori. Per questo si è deciso di accogliere soltanto le «giustificazioni» davvero fondate e comunque legate a impedimenti reali (ad esempio la necessità di tempo per costruire un campo di accoglienza). In ogni caso l’opzione non potrà mai valere più di un anno.
Il trattato di Dublino
Non sarà una revisione completa, ma la bozza già prevede emendamenti a quel trattato che si è dimostrato inefficace rispetto all’ondata migratoria che ha coinvolto l’intera Europa. L’obbligo di rimanere nel Paese di primo ingresso fino al termine della procedura per ottenere lo status di rifugiato ha infatti convinto la maggior parte dei profughi siriani ed eritrei a non farsi identificare in modo da poter fuggire dall’Italia, dalla Grecia e dall’Ungheria per raggiungere le destinazioni finali negli Stati del Nord. Ma soprattutto ha costretto questi tre governi a provvedere all’accoglienza senza poter destinare subito una parte dei richiedenti asilo lì dove avevano già manifestato l’intenzione di andare.
I rimpatri assistiti
La parte più debole e confusa appare quella che riguarda i migranti economici. Perché è vero che nella bozza della Commissione si parla esplicitamente di «rafforzare la direttiva sui rimpatri e migliorare la collaborazione con gli Stati terzi», ma non c’è un progetto concreto che preveda aiuti e investimenti nelle aree dalle quali partono queste persone e quindi non sembra facile riuscire a ottenere il via libera al ritorno a casa. Per questo l’obiettivo dell’Italia è la riapertura del negoziato per costruire dei campi di accoglienza in Nordafrica.