Ma l’azione di forza dovrà tenere conto di scenari complessi
Mentre la Germania apre le braccia ai profughi siriani, la Francia prepara un’azione militare dal cielo sul Paese giunto al quinto anno di guerra civile. L’emergenza umanitaria, la morte di una nazione per svuotamento e disperazione, gli orrori dei miliziani dell’Isis hanno provocato una reazione forte e concreta. L’opinione pubblica ha preso coscienza che la disgregazione del Medio Oriente sta avendo un impatto drammatico e duraturo sulle fondamenta della società europea. E questo ha spinto i governi a rompere gli indugi. Ma è bene non coltivare illusioni. L’ondata di solidarietà continuerà a misurarsi con i Paesi che erigono muri e i variegati populismi che alimentano le paure dei ceti più deboli. E le opzioni militari devono fare i conti con lo scenario complesso del conflitto siriano. Non sono in gioco soltanto la sopravvivenza del regime di Assad o la guerra all’Isis, ma anche sfere d’influenza, alleanze militari, scomposizioni territoriali e religiose. Dalla Turchia alle monarchie del Golfo, dalla Russia che rafforza l’assistenza militare al regime di Damasco agli Stati Uniti, prima risoluti e poi titubanti sul futuro di Assad, la prospettiva di un negoziato coerente è ancora lontana. La stessa iniziativa di Hollande sembra anche dettata dall’esigenza di far sentire la voce della Francia nell’unico ambito in cui non può essere troppo alta la voce della Germania, quello militare. Con quali sbocchi? Un’azione più incisiva nei confronti dell’Isis — il cui centro operativo è ormai la Siria — sembra trovare un sostegno più ampio, ma nessuno si nasconde che la sconfitta del Califfato potrebbe favorire la sopravvivenza del regime di Damasco. Il disegno che la Francia ha messo sul tavolo è la «neutralizzazione» di Assad e l’avvio della transizione con il concorso delle parti interessate: arabi, russi, turchi, iraniani, americani. Ma questa è la road map prospettata all’inizio della crisi. E il tempo rischia di scadere.