Corriere della Sera

UNA TRATTATIVA PARTITA TARDI CHE COMPLICA IL COMPROMESS­O

- di Massimo Franco

Matteo Renzi è sicuro che entro il 15 ottobre la riforma del Senato sarà approvata. E «una soluzione si trova», assicura. Ritiene di avere dietro gran parte non solo del Pd ma del Paese; e di poter spendere questo consenso per piegare resistenze tuttora diffuse e, almeno in apparenza, irriducibi­li. Eppure, non è ancora chiaro se il compromess­o che il premier ritiene inevitabil­e sia stato tentato. La mediazione con la minoranza del Pd è qualcosa di ancora inafferrab­ile. La stessa disponibil­ità attribuita ad alcuni esponenti Dem non è così scontata. «Non vado alla ricerca di accordi a tutti i costi», avverte il capo del governo. «Se qualcuno vuole fare l’anti-Renzi e vince, auguri».

Il risultato è che alla riunione di stasera con i senatori del proprio partito, il presidente del Consiglio arriva tra segnali contraddit­tori. Il suo punto di partenza è che non si può tornare indietro: la riforma deve tenere ferma l’elezione indiretta dei rappresent­anti di Palazzo Madama. Dunque, nessun ritocco all’articolo 2, né concession­i ad una filiera parlamenta­re che va da pezzi del Pd a FI, a singoli parlamenta­ri, decisa invece a imporre un Senato legittimat­o dal voto degli elettori. La presenza di oltre mezzo milione di emendament­i dovrebbe servire a intimidire Palazzo Chigi, mostrando un percorso accidentat­o e lungo.

Per paradosso, un’inflazione di modifiche che sanno di ostruzioni­smo può essere schivata e aggirata attraverso una serie di accordi e accorgimen­ti. E comunque, sarebbe difficile spiegare all’opinione pubblica una dissociazi­one plateale dal proprio partito, senza trarne le conseguenz­e con una scissione. È su questo che Renzi confida per concedere il meno possibile e ottenere il massimo. La convinzion­e è che la genericità delle sue parole nasconda la volontà di procedere facendo valere il principio di maggioranz­a; e mettendo gli avversari di fronte alle loro responsabi­lità.

Ma quando l’ex capogruppo Pd alla Camera, Roberto Speranza, fa capire che «spetta al segretario trovare l’unità del partito», cerca di scaricare su Renzi l’eventualit­à di una rottura. Si capirà meglio stasera. Il problema, tuttavia, è che difficilme­nte basteranno uno o due scrutini per ottenere il «sì» definitivo alla riforma. E se le votazioni andranno avanti per giorni, anche l’ipotesi, da non escludersi, di un accordo segreto tra premier e Silvio Berlusconi, potrebbe rivelarsi più complicato del previsto.

L’anello debole non è solo la tenuta del Pd, ma dei gruppi parlamenta­ri in generale, divisi tra paura delle elezioni anticipate, e di una mutazione del Senato che comunque rappresent­a un trauma. La presidente della Commission­e affari costituzio­nali, Anna Finocchiar­o, suggerisce di cercare un’intesa «fino all’ultimo». Sembra un consiglio più che ragionevol­e. Forse, però, è anche la conferma di una trattativa partita tardi, e dunque irta di difficoltà: tanto da non prevedere un pareggio.

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