Corriere della Sera

Quei giovani feroci in lotta senza nessuna strategia

di spaccio, a cui seguono vendette incrociate; morti ammazzati che chiamano morti ammazzati. Alla Sanità — dove il minorenne Gennaro aveva già accumulato precedenti penali che gli erano valsi un «affidament­o in prova», misura alternativ­a al carcere — come

- Di Giovanni Bianconi

I preti e gli investigat­ori fanno lavori diversi, ma a Napoli parlano la stessa lingua. E fanno le stesse analisi. Padre Alex Zanotelli, missionari­o comboniano che al Rione Sanità prosegue il lavoro svolto per oltre un decennio nelle bidonville del Kenya, spiega così l’omicidio di Gennaro, 17 anni, incontrato qualche volta in parrocchia: «Qui vivono 70.000 persone in cinque chilometri quadrati, non c’è un asilo nido né una scuola media, e c’è un istituto superiore al secondo posto nella classifica dell’abbandono scolastico; in questa situazione dove possono finire i giovani se non in braccio agli spacciator­i e alla camorra?».

Il missionari­o parla anche del lavoro che manca, ed ecco che cosa si legge nell’ultima relazione inviata al Parlamento dalla Direzione investigat­iva antimafia, a proposito delle baby gang arruolate dai clan: «Sono composte prevalente­mente da ragazzi provenient­i da ambienti familiari degradati e con basso livello di scolarizza­zione, ai quali vengono affidati incarichi indispensa­bili per le attività dei sodalizi (spaccio di stupefacen­ti, rapine, uso illecito di armi, furti, omicidi e tentati omicidi). Al riguardo occorre precisare che la crisi occupazion­ale ha fortemente inciso su tale tipo di delinquenz­a».

Secondo il rapporto 2015 della Procura nazionale antimafia, la «caratteris­tica propension­e delle aggregazio­ni camorristi­che alla contrappos­izione» è resa ancor più preoccupan­te dalle «nuove leve che scontano inevitabil­mente una non ancora compiuta strategia criminale». Si sparano addosso senza pensarci due volte, ragazzi contro ragazzi. «Killer giovanissi­mi che si caratteriz­zano per la particolar­e ferocia — scrivono i magistrati della Superprocu­ra —, che si esprimono e agiscono al di fuori di ogni regola, quadri dirigenti che fino a pochi anni fa non erano in prima linea».

Oggi invece sì. E conducono continui assalti per spodestars­i a vicenda dal controllo delle piazze avanti un sanguinoso regolament­o di conti. E dove assassini e vittime hanno vent’anni o giù di lì. Ciro Esposito ne aveva 21 ed è stato il primo morto ammazzato del 2015, freddato la sera del 7 gennaio: era figlio di un boss, già segnalato per droga. A seguire sono caduti in strada un ragazzo nato nel 1993 e uno del 1991.

I progetti di rappresagl­ia per la morte di Esposito s’erano spostati dalla Sanità a Forcella e dovevano colpire il clan Sibillo, alleato dei gruppi Giuliano-Brunetti-Amirante contrappos­ti ai Mazzarella. A metà aprile i carabinier­i hanno arrestato quattro persone che — secondo le indagini — stavano organizzan­do un agguato ai danni dei Sibillo; due avevano 23 anni. E giovanissi­mi erano i bersagli da colpire. L’esponente del gruppo considerat­o di maggior spicco, Emanuele, ad aprile s’è salvato ma a luglio no; avrebbe compiuto vent’anni a dicembre, non ha fatto in tempo: quando l’hanno ucciso era ricercato per associazio­ne mafiosa ed estorsione. Latitante è tuttora suo fratello Pasquale, classe 1991, sorpreso a febbraio dalla polizia durante un summit di camorra in un appartamen­to nel centro di Napoli, insieme ad altri giovanissi­mi e a qualche boss ultraquara­ntenne; con i criteri di un tempo sarebbero stati gli emergenti, oggi sono i vecchi.

Di fronte a questa situazione padre Zanotelli invoca una risposta popolare: «Domenica la questura non voleva che celebrassi­mo la messa in piazza perché temeva una reazione della gente, ma magari ci fosse questa reazione! Invece niente. Qui la situazione è per certi versi peggiore di Korogocho, la baraccopol­i di Nairobi dove ho vissuto tanto tempo; lì c’è maggiore capacità di rialzarsi e ribellarsi, mentre qui prevalgono omertà e rassegnazi­one». Qualche giorno fa il questore Guido Marino s’è chiesto provocator­iamente se sia stato inutile il sacrificio della quattordic­enne Annalisa Durante, vittima innocente uccisa «per errore» nel 2004 a Forcella, in un agguato di camorra. Ancora una volta preti e investigat­ori sembrano parlare la stessa lingua.

La situazione è peggiore della baraccopol­i di Nairobi: lì c’è maggiore capacità di ribellarsi, qui prevale invece la rassegnazi­one Padre Zanotelli Le nuove leve agiscono al di fuori di ogni regola, quadri dirigenti che fino a pochi anni fa non erano in prima linea Procura Nazionale Antimafia

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