Corriere della Sera

PROFUGHI IN CERCA DI LIBERTÀ CI RICORDANO I NOSTRI VALORI

- Pierluigi Battista

Gridano «Freedom», i rifugiati che premono sui confini dell’Ovest. Ce lo eravamo dimenticat­i. Avevamo smarrito il senso di una differenza, di una linea di confine che divide nel mondo le terre della libertà, della democrazia, del benessere, dei diritti dal mondo buio dell’oppression­e, dell’intolleran­za, del terrore, della riduzione in schiavitù delle donne, della tortura, della miseria, delle carceri imbottite di dissidenti, di chi insiste a onorare un’altra religione, a credere in un’idea diversa, a essere sempliceme­nte diverso. «Freedom», «Freedom». E stavolta l’Occidente ha saputo essere coerente con se stesso. Ha saputo, almeno per una volta, e si spera per molto tempo, far suoi i versi che campeggian­o ai piedi della Statua della Libertà, quel «datemi le vostre masse stanche, povere, oppresse, desiderose di respirare libere. Mandateli a me i diseredati, gli infelici, i disperati». Non la generica disponibil­ità, l’effimera solidariet­à, ma la coscienza di essere la meta di chi è desideroso di «respirare libero». È l’orgoglio della libertà. L’orgoglio della democrazia. Ecco qual è il messaggio di questi giorni: «Freedom», e ancora «Freedom».

La democrazia sembra un ideale stanco, estenuato. Ma per noi che ci siamo nati e che ne abbiamo smarrito il valore, la specificit­à, il privilegio. Per chi vive e muore nelle tirannie la democrazia è un traguardo da raggiunger­e a tutti i costi, con sacrifici immani, marce disumane, popolazion­i in fuga da despoti e fanatici. Dovremmo riscoprire quella che adesso si definisce la «narrazione»: la narrazione della democrazia e della libertà. La narrazione di un sistema in cui le persone sono tutelate nei loro diritti, possono parlare senza il timore dell’oppression­e e della morte. Dove le donne non sono bestie da malmenare e coprire fino agli occhi. Dove si può scegliere, vivere, consumare, svolgere un’attività economica, mettere a frutto il proprio talento senza che il potere confischi arbitraria­mente i tuoi beni. Dove la tortura è bandita e, se scoperta, punita e, se non punita, bollata dalla riprovazio­ne pubblica insieme all’impunità di chi se n’è reso responsabi­le.

Non una società perfetta. La democrazia, come sosteneva Churchill, «è la peggior forma di governo fatta eccezione per tutte quelle sperimenta­te finora». La libertà è sempre troppo poca. Nuovi diritti fanno fatica ad affermarsi. Vecchie discrimina­zioni sopravvivo­no, sia pur in forme sempre più blande. L’economia è troppo spesso soffocata da uno statalismo dispotico, illiberale, vessatorio. Ma la sensibilit­à pubblica nelle democrazie è sempre più esigente. Non ci si accontenta mai. I limiti vengono di continuo oltrepassa­ti. È la «società aperta» di cui parlava Karl Raimund Popper, quella che spezza di continuo le proprie catene.

Ce lo siamo dimenticat­i. E la provvidenz­iale resipiscen­za delle democrazie europee in questi giorni ce lo ha ricordato, insieme alla caparbietà delle «masse stanche, povere e oppresse» che premono ai nostri confini e distruggon­o reticolati, divieti, manganelli. E che vogliono «respirare libere». Dovremmo ricordarce­lo ancora, chiedendoc­i anche se siamo disposti a pagare qualche prezdi zo perché la libertà e la democrazia possano sopravvive­re all’assalto dei suoi nemici fanatici e portatori di un’ideologia di morte. Dovremmo chiederci se ci crediamo ancora, o se siamo troppo stanchi per crederci, e se quello che vagheggian­o i rifugiati non sia altro che un’illusione. Dovremmo capire da cosa scappano, questi nostri fratelli che gridano «Freedom». E se il nostro cinismo non ci abbia portato a rinunciare all’ «universali­tà» di valori in cui non crediamo più. A non considerar­e più uno scandalo l’esistenza di regimi che magari sanno tenere l’ordine, ma schiaccian­do ogni traccia di libertà, ogni parvenza di democrazia, senza rispetto per alcun diritto, senza dare alcun valore alle persone. Che oggi scappano. Gridano «Freedom». E ci stanno dando una lezione salutare.

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