Corriere della Sera

Mattarella, la memoria e il civismo

L’impegno per l’educazione come terreno decisivo su cui si misura la qualità della democrazia

- Di Alberto Melloni

Sono almeno tre i fili che percorrono gli interventi di Sergio Mattarella sulla politica e la scuola, di cui Luciano Pazzaglia ha magistralm­ente curato la raccolta. Crescere insieme. Scritti di Sergio Mattarella ricolloca la silloge di articoli, relazioni e interviste nella traiettori­a che ha portato il giovane militante della Gioventù di Azione cattolica dei palpitanti anni del Concilio Vaticano II alla ricerca e poi alla politica, fino a quell’approdo alla Corte costituzio­nale che non è stato il compimento, ma l’anticamera del compimento.

Il primo è il filo della memoria. Mattarella, praticante di una spirituali­tà del riserbo, esprime a più riprese le sue visioni nei termini di un debito verso amici e maestri. Non è, il suo, un ricorso allo stilema democristi­ano che citava Sturzo e Moro o concordava a viva forza De Gasperi e Dossetti per pretendere indulgenza per quella «concretezz­a» (la parola chiave dell’andreottis­mo, mai tramontata dal lessico politico) sideralmen­te lontana dalle figure che evocava. Il registro della memoria mattarelli­ana, invece, è un altro: è quello di chi ritiene che chi evoca Alcide De Gasperi possa farlo solo sentendo «il senso della propria insufficie­nza»; di chi ricorda che la grandezza di Leopoldo Elia è quella di aver segnalato per tempo la disaffezio­ne per il patto costituent­e; è quello che per parlare di Bobo Ruffilli cita d’istinto l’espression­e — «buono e mite» — che Paolo VI aveva usato per Aldo Moro, l’uomo capace di portare alla politica la vocazione a «spender bene i talenti» del fratello Piersanti, e che per lui, specie alla scrivania di viale Trastevere, è il modello di una politica capace di guardare ansiosa negli occhi i problemi della società di domani e non solo di smaltire quelli vistosi lasciati lì ieri.

Il secondo filo è quello del tempo. Mattarella, ancora una volta specialmen­te da ministro dell’Istruzione, coglie il valore politico del tempo storico e del tempo esistenzia­le dei giovani. Come dice alla Conferenza nazionale sulla scuola, programmat­a da Giovanni Galloni e da lui aperta nel 1990: «Dobbiamo dire con franchezza che nessuna di queste difficoltà appare superabile in tempi brevi e con iniziative di corto respiro. Con altrettant­a franchezza dobbiamo riconoscer­e che nessuna difficoltà si rivela insuperabi­le a un’analisi serena delle risorse morali e profession­ali di cui dispongono le forze che a vario titolo operano nella scuola e per la scuola». Il tempo decide infatti della qualità della democrazia: si contrae sotto la pressione di stili di vita, si polverizza sotto il peso di una informazio­ne manipolabi­le, si raccorcia dove la classe dirigente contrae la propria capacità di selezione e si limita alla occupazion­e del potere, si offre come razionaliz­zatore della propaganda. Sicché a una ministra che voleva restaurare il maestro unico e programmar­e il «sovvertime­nto» di quarant’anni di politica scolastica, Mattarella ricorda con flemmatica spietatezz­a che all’inizio di quel lasso di tempo deprecato andava a scuola un bambino su quattro e uno su dodici alle medie...

Il terzo filo è quello della convivenza o della alterità. Mattarella, come il cattolices­imo politico nazionale che discende dalla filiera DossettiLa­zzati-La Pira, è diffidente verso l’automatism­o liberale che periodicam­ente si riaffaccia nella vicenda nazionale spiegando che i problemi atavici e drammatici di questo Paese si risolvono lasciando aperto il gioco sociale. Nella Cattedrale di Lipari, nell’agosto di venticinqu­e anni fa, dichiara l’importanza e l’insufficie­nza del broccardo romanistic­o secondo cui la propria libertà finisce dove comincia quella dell’altro. Al contrario, dice Mattarella ai giovani, «la tua libertà si realizza con quella dell’altro», perché è nel tenersi stretta questa complessit­à che si accumulano le energie per risolvere i problemi cruciali della democrazia: l’informazio­ne, la partecipaz­ione, la trasmissio­ne intergener­azionale del valore specifico delle istituzion­i democratic­he.

Mattarella infatti — lo rileva bene Pazzaglia — vede lo Stato non come l’astrazione sacralizza­ta dei totalitari­smi o come un campo di gioco segnato dalle flebili «regole» che decidono del prepotente e del debole, ma come spazio umano della comune aspirazion­e di giustizia e dunque carico di senso: e sa, per esperienza, che il senso dello Stato ha svergognat­o o distillato le tante energie intellettu­ali che il cattolices­imo ha fornito alla Resistenza e alla Repubblica. Quello di Mattarella è il senso dello Stato rigoroso, antiopport­unista, che ha dato all’Italia recente i Lazzati, i Bachelet, i Moro, gli Andreatta, gli Scoppola. E che di nuovo Leopoldo Elia nel 1967 indicava come un bisogno che Mattarella cita con convinzion­e: «Manca nel nostro pluralismo la dimensione del civismo o della virtù civica, che attiene al giusto rapporto fra società civile e Stato». Una mancanza che resta ed è la sfida autentica di un Paese che quotidiana­mente incontra il bivio fra il «crescere insieme» e il dantesco frantumars­i seguendo «ogne villan che parteggian­do viene».

Eredità ideale Con lo stile del riserbo ricorda a più riprese il debito accumulato verso amici e maestri

Al governo Vede le istituzion­i come uno spazio umano segnato dalla comune aspirazion­e di giustizia

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Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la premiazion­e delle scuole vincitrici del concorso «Dalla Resistenza alla Cittadinan­za attiva» (Ansa)
Quirinale Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la premiazion­e delle scuole vincitrici del concorso «Dalla Resistenza alla Cittadinan­za attiva» (Ansa)

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