Sulle orme di Pasolini
Giovani sbandati tra droga e sogni di riscatto: l’opera postuma di Caligari regala ritratti commoventi
Applausi per «Non essere cattivo»: meritava la gara
Testardamente voluto da Valerio Mastandrea che ha bussato a mille porte per trovare finanziamenti (arrivati poi da Kimerafilm, Taodue e Rai Cinema), si è visto ieri alla Mostra e da oggi nei cinema Non essere cattivo, l’ultimo film di Claudio Caligari cui un tumore ha impedito di raccogliere meritati applausi, mentre un eccesso di realismo lo ha collocato fuori concorso per evitare la gara a un «film postumo» (con qualche strascico polemico che lo stesso Mastandrea ha cercato di spegnere sul nascere: «Vorrei invitare tutti a guardare solo al futuro del film e basta. Anche se mi dispiace che gli attori non potranno essere giudicati da una giuria internazionale»). Peccato, perché tra i titoli italiani visti finora al Lido, questo svetta per emozione e bellezza.
Ambientato nella Ostia del 1995, racconta la storia di due «fratelli di vita», Cesare (Luca Marinelli) e Vittorio (Alessandro Borghi).
Sono gli «eredi» del mondo marginale e pasoliniano di Amore tossico, il film che nell’83 rivelò Caligari (il cui protagonista si chiamava non a caso Cesare), passati attraverso la mutazione antropologica dei luoghi e dei comportamenti: non più l’eroina — i cui consumatori sono visti in una delle scene iniziali come asociali e pericolosi — ma le droghe sintetiche e poi la cocaina, mentre l’orgogliosa marginalità della borgata si sgretola di fronte all’invasione dei consumi e dei suoi simboli più appariscenti.
In questo mondo Cesare e Vittorio cercano di sopravvivere come possono, un po’ spacciando un po’ sfruttando le ingenuità altrui, un po’ immaginandosi diversi da quello che sono.
A riportarli sulla «terra» toccherà a una serie di figure femminili intense e commoventi: per Cesare, la madre e la nipotina, contagiata dall’Aids che le ha tolto la mamma, e poi la reietta Viviana (Silvia D’Amico), per Vittorio la più volitiva Linda (Roberta Mattei) che cerca di convincerlo a cercare un futuro nel lavoro.
Una scelta, questa, che finirà per allontanarli, visto che — per usare le parole dello stesso Caligari — «niente poteva azzerare definitivamente l’originale cultura borgatare più e meglio del concetto di e della pratica del lavoro».
Una storia probabilmente molto comune, che però Caligari racconta con un’empatia e una commozione straordinarie e uniche.
Senza mai edulcorare scelte o ambientazioni, la sceneggiatura firmata insieme a Giordano Meacci e Francesca Serafini, riesce a evitare un registro troppo naturalistico, fermandosi sempre un attimo prima di cadere nel compiacimento effettistico: un sorriso o una battuta risolvono le situazioni più tragiche mentre la farsa trascolora a sorpresa nella crudezza e nel dolore.
Caligari ama i suoi personaggi e sa farceli amare, li guarda con tenerezza e comprensione ma senza mai sentire il bisogno di giustificarli o di nasconderne i limiti e le asprezze. Ottenendo così il risultato (troppo raro nel cinema italiano) di farci appassionare ai personaggi e alle loro storie ma non per questo impedendoci di giudicare le loro azioni.
Un merito che va diviso equamente tra la messa in scena sapientemente «classica» del regista e la recitazione efficace e però controllatissima dei suoi attori. Se Non essere cattivo esce dallo schermo per stamparsi nella memoria (e nel cuore) dello spettatore molto del merito va alla prova dei quattro protagonisti, tutti eccellenti ma con una citazione particolare per Luca Marinelli, le cui qualità non si capisce come non vengano sfruttate maggiormente dal cinema italiano. (O forse si capisce ed è per questo che ogni giorno si innalza un de profundis per il cinema di casa nostra…).
Il suo Cesare è di quei personaggi che non si dimenticano facilmente, insieme (ricordiamolo ancora) al Vittorio di Alessandro Borghi e alle altrettanto brave Silvia D’Amico e Roberta Mattei.