Nel film sull’inchiesta Rabin accuse ai comizi di Netanyahu
Nirenstein, ambasciatrice designata: tesi ideologica insensata
Cristiana Capotondi (35 anni da compiere domenica) invia baci ai fan al gesto omicida. La società per strani motivi è stata generosa con lui, tra quattro-cinque anni uscirà di prigione, e gli hanno permesso di fare un figlio».
Il clima politico in Israele era arroventato. Rabin, l’uomo del dialogo, offrì il petto «ai rabbini lunatici, ai coloni estremisti e ai parlamentari di destra, che non furono attivi nell’omicidio, ma felici nel vedere demolito, da una campagna terroristica, il suo progetto politico». Immagini d’epoca mescolate a quelle di fiction: «Non ho inventato nulla, tutto è documentato», Il salto Il trasformista Arturo Brachetti (57 anni) al Lido per un incontro su «I mostri» di Dino Risi dice il regista che ieri è stato salutato dall’ex presidente Napolitano, alla Mostra per la proiezione serale.
Quei vecchi filmati sono scolpiti nella pietra. Peres, all’epoca ministro degli Esteri, ricordava «la propaganda feroce, Yitzhak veniva ritratto in una bara con scritto: “Qui giace Rabin”. Sapevamo che in caso di elezioni probabilmente non avremmo vinto, ma non eravamo disposti a cedere. Senza l’assassinio di Rabin avremmo avuto sicuro una situazione più stabile”». La coppia L’attore Nicolas Duvauchelle e la compagna Laura Isaaz sul red carpet di «The Endless River»
La commissione che indagò sull’omicidio aveva un mandato limitato alla scena del crimine. Vengono fuori, se non le complicità, le negligenze. Era d’uso che l’auto di Rabin avesse una via di fuga dalle occasioni pubbliche: quella volta, dice l’autista, non ci fu alcun piano d’emergenza; per la polizia lo studente agì da solo; il responsabile della sicurezza nella piazza, in cui «si aprirono dei varchi» e si spararono i tre colpi di rivoltella, contro la prassi ebbe l’incarico all’ultimo momento. E soprattutto il consulente legale del governo archiviò per insufficienza di prove il ruolo dei fanatici religiosi che additarono Rabin come «nemico del popolo», invocando «gli angeli della distruzione per ucciderlo». Fu convocata una psicologa a quegli incontri farneticanti: paragonò Rabin a Hitler, «è un megalomane, uno schizofrenico che ha perso il contatto con la realtà». Rabin aveva congelato gli insediamenti dei coloni: ciò era contrario al concetto teologico affiorato dopo la vittoria militare del 1967, secondo cui, per costruire una grande Israele, bisognasse incoraggiare l’espansione del territorio. «Ma Israele è nata da un progetto politico, non religioso», ricorda Gitai.
«Italia e Israele sono simili — dice ancora l’autore —, possiamo essere brutali e sofisticati... Anche voi avete avuto un tipo corrotto, kitsch e volgare, non a caso amico di Netanyahu. Oggi in Israele c’è uno scivolamento dell’opinione pubblica, rischiamo di isolarci dal resto del mondo». Il caso Rabin è il JFK israeliano. Ma rispetto all’America di Kennedy, «noi dopo 20 anni ancora viviamo con il risultato della sua morte».