Corriere della Sera

Talenti, progetti e programmi Tutte le strade per la qualificaz­ione

- Paolo Tomaselli

I gallesi fanno gli indignati. Non per la mancata vittoria su Israele che li costringe ad aspettare metà ottobre per festeggiar­e la prima qualificaz­ione a un torneo dopo 58 anni. Ma perché si dice in giro che siano Bale-dipendenti: «Abbiamo la miglior difesa delle qualificaz­ioni» fanno notare a Cardiff. Vero, ma nella squadra del c.t. Coleman tutto il resto tocca a mister 100 milioni del Real Madrid: su 9 gol del Galles, l’attaccante decatleta ne ha segnati 6, con due assist decisivi. «Good luck to Bales…sorry Wales» ha scritto domenica Gary Lineker, facendo arrabbiare ancora di più i gallesi. L’alternanza in Premier League di Cardiff e Swansea, oggi quarto in classifica, ha aiutato la crescita. Ma senza il talento, la fisicità e anche la fame di Bale, che al Mondiale difficilme­nte andrà mai, non sarebbe stato possibile tenere testa a Belgio, Israele e Bosnia.

Chi non ha il Campione, deve costruirsi il proprio sogno con la programmaz­ione, come nel caso di Austria e Islanda. L’isola del fuoco è la più calda, perché ha ottenuto la sua prima storica qualificaz­ione, davanti a squadre come Repubblica Ceca, Turchia e l’Olanda, sempre più disperata. L’Islanda ha 320mila abitanti e in 15 anni ha trasformat­o la sua passione in un lavoro: ha 563 allenatori con patentino Uefa B e 165 Uefa A e di conseguenz­a un numero pro capite di tecnici superiore a Italia, Spagna o Germania. Ma questo è l’effetto del boom, la causa è la costruzion­e, grazie all’energia geotermica, di 13 campi regolament­ari riscaldati e 25 più piccoli. Fin dai 4 anni, i baby vichinghi hanno strutture e tecnici qualificat­i, per cui l’avventura della squadra allenata dallo svedese Lagerback potrebbe essere un punto di partenza. «In Francia ci sarà da divertirsi — avverte Halfredsso­n, del Verona — il nostro segreto è il grande gruppo. Ma senza il lavoro capillare della Federazion­e non ci sarebbe nulla».

Il discorso vale in buona parte anche per l’Austria, imbattuta come Italia, Galles e Inghilterr­a: le manca un punto per lasciare a Svezia e Russia il brivido della volata finale. Dopo la qualificaz­ione al Mondiale del 1998 il calcio austriaco (allora 28° nel ranking Fifa) è andato in crisi, toccando il fondo con la figuraccia nell’Europeo in casa nel 2008 (e la scivolata al 105° posto). Dal 2011 il c.t. svizzero Koller ha fatto un gran lavoro, grazie a un gruppo multietnic­o (Alaba del Bayern, Arnautovic dello Stoke, Janko del Basilea i nomi forti). E la Federcalci­o ha varato un progetto (da 1,5 milioni l’anno) per i ragazzi più promettent­i dai 15 ai 21 anni, che ha già portato in alto 4-5 giocatori.

La sintesi di tutto questo — organizzaz­ione-investimen­titalento— è la miscela esplosiva del «Premier Belgium» (con una quindicina di giocatori in Inghilterr­a) che deve molto a un fuoriclass­e coi capelli bianchi, Michel Sablon, d.t. della Federazion­e: dopo il fallimento di Euro 2000, ci si è ispirati a Olanda e Francia e a tutte le squadre è stato chiesto di giocare col 4-3-3 nei settori giovanili, con i migliori ragazzi poi concentrat­i nei centri federali. Il fattore etnico-sociale (da Fellaini a Lukaku, da Witsel a Kompany), quello di madre natura (la stella Hazard) hanno fatto il resto. E riunificat­o un Paese diviso. I vicini francesi, con le loro barzellett­e sui belgi, sono avvertiti.

I successi All’Europeo grazie a campioni alla Bale, ai numerosi campi, alla selezione dei giovani

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