Corriere della Sera

LE DELLA DUREZZA UNGHERESE

RADICI STORICHE

- Di Federigo Argentieri

Una ventina d’anni fa, quando l’Ungheria negoziava l’adesione alla Nato, le fu detto che una delle condizioni imprescind­ibili era di firmare trattati di buon vicinato con tutti i Paesi confinanti: detto e fatto, anche i rapporti con Slovacchia e Romania, tradiziona­lmente ostici per la presenza di forti minoranze magiare, furono regolati. Nel 1999, qualche giorno dopo l’ingresso ufficiale, la Nato iniziò un conflitto armato contro la Jugoslavia, altro vicino dell’Ungheria, per difendere una minoranza, cosa che comprensib­ilmente lasciò a dir poco perplessi sia i dirigenti di Budapest sia la popolazion­e.

L’adesione dell’Ungheria agli ideali europei ha sempre avuto aspetti paradossal­i: questa è una delle premesse per comprender­e l’odierna politica del governo Orbán verso il colossale flusso migratorio che ha imboccato la «via balcanica». L’altra è che la tendenza quasi irresistib­ile dei media, soprattutt­o occidental­i, a semplifica­re e fare uso di luoghi comuni e stereotipi non aiuta a mettere a fuoco tutti i contorni di tale politica. Da parte sua, il premier ungherese è convinto che fino a quando dureranno tali semplifica­zioni il suo potere, salvo imprevisti, sarà assicurato, più o meno in armonia con le leggi esistenti: come ha detto molto bene la sociologa Kim Scheppele dell’università di Princeton, il sistema politico creato da Orbán e dai suoi è «legale ma non leale» ( legal but not fair), ma non è questa

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