L’ingegnere tedesco che ha messo Wolfsburg nei guai
Tutto è cominciato con una ricerca sponsorizzata dell’International Council on Clean Transportation (Icct), un’organizzazione indipendente non profit poco conosciuta al grande pubblico che ha la missione di migliorare la qualità dell’aria monitorando le emissioni dei mezzi di trasporto. Per uno strano scherzo del destino l’idea all’origine dello scandalo che sta travolgendo il colosso Volkswagen e sta facendo perdere la faccia alla Germania è venuta proprio a un tedesco, Peter Mock, direttore generale responsabile dell’Icct in Europa e con ufficio a Berlino. E, ironia della sorte, la sua controparte americana, si chiama German, per la precisione John German. Osservando che quando erano sottoposti ai test europei sulle emissioni i modelli diesel della Passat, della Jetta e della Bmw X5 si comportavano in modo molto diverso su strada e in laboratorio, l’anno scorso Mock ha suggerito al collega German di ripetere i test negli Stati Uniti, dove gli standard per le emissioni sono più severi che nel resto del mondo, e i controlli più rigorosi. L’obiettivo? Dimostrare agli europei che è possibile costruire vetture diesel più pulite. Il risultato, come sappiamo, non è stato ben diverso dalle attese. E ha dato inizio alla catena di eventi che ha costretto Volkswagen ad ammettere di aver montato tra il 2009 e il 2015 dei software illegali sui motori diesel di sei modelli del gruppo, per manipolare le emissioni durante i test in laboratorio: 500 mila negli Stati Uniti, 11 milioni in tutto il mondo.
Per la cronaca: nei test condotti nel 2014 dall’Icct in un laboratorio della West Virginia University, le emissioni della Bmw X5 sono risultate inferiori o uguali ai limiti consenti per legge). La dimostrazione che la tecnologia per rispettare gli stringenti standard americani sulle emissioni esiste.