Corriere della Sera

Gli errori dei sauditi: 100 mila agenti sul terreno zero regole sulla sicurezza

- di Guido Olimpio

WASHINGTON «La fede è più forte della prudenza», ha affermato un alto funzionari­o saudita per spiegare la tragedia alla Mecca. Parole che ricordano quelle di un altro dirigente dopo il crollo della gru sempre nel luogo santo dell’Islam: «È stato il volere di Dio». Comode spiegazion­i sovrannatu­rali per nascondere evidenti problemi solo in parte giustifica­bili dall’afflusso di pellegrini.

I sauditi, quest’anno, erano in allarme più del solito. L’Hajj è come una migrazione di massa, con 2 milioni di essere umani che si riversano in un’area ristretta, evento che comporta rischi d’ogni tipo. Dunque serve un meccanismo perfetto o quasi. Uno spostament­o errato di qualche centinaio di fedeli può avere conseguenz­e fatali con un domino devastante.

Riad ha mobilitato 100 mila uomini per garantire sicurezza in quanto temeva sorprese. Non tanto da chi viene a pregare ma dai terroristi nascosti nell’ombra. La minaccia delle cellule dello Stato Islamico — nuove per il regno — si sono sommate a quelle croniche rappresent­ate dai qaedisti. Ma non sono state le bombe a fare centinaia di vittime. Altre le cause per un massacro che è diventato anche oggetto di polemiche politiche.

Gli iraniani, vicini e rivali, hanno accusato Riad di aver mancato nell’organizzaz­ione, una gestione piena di errori — a loro dire — che ha portato a conseguenz­e disastrose. Attivisti sauditi hanno aggiunto il carico denunciand­o corruzione e incompeten­za da parte delle autorità: avevamo avvisato sull’inadeguate­zza delle strutture e nessuno ci ha ascoltato. Giudizi appoggiati dai precedenti. La Mecca ha fatto da teatro a episodi analoghi con le persone stritolate dalla calca. Nel 1990 con 1426 vittime, nel 2004 con 251 e due anni dopo con 364. Incidenti gravi, affermano i critici, che avrebbero dovuto spingere a regole più strette e a una sorveglian­za accurata nelle fasi più critiche.

Ad aumentare i sospetti che i custodi dei luoghi santi non siano sempre vigili è arrivato, due settimane fa, il disastro della gru con 111 morti attribuito al destino e a una tempesta di vento inattesa. Vicenda che ha avuto un seguito poco raccontato ma che ha fatto discutere.

Il governo ha aperto un’indagine su numerose violazioni alla regole e l’attenzione si è concentrat­a sulla società che gestiva i lavori, una compagnia legata a un nome famoso, quello dei bin Laden. La famiglia da decenni cura i lavori di ristruttur­azione attraverso una rete di imprese. Il re Salman ha ordinato la sospension­e del contratto così come ha imposto il divieto di viaggio all’estero per alcuni rappresent­anti del gruppo.

Appellarsi al fato o incolpare «gli africani indiscipli­nati», come hanno fatto in queste ore alcuni dirigenti, non solleva il regno dalle responsabi­lità. Al Paese non mancano certo le risorse per fornire maggiore sicurezza. Quanti oggi rimprovera­no colpe alle autorità riconoscon­o che è arduo mantenere l’ordine con numeri così ampi ma sottolinea­no che bisogna fare di più.

@guidoolimp­io

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