Corriere della Sera

In classe tra i latinos

- Di Massimo Gaggi

Gli homeless di Washington, la scuola cattolica di Harlem, l’abbraccio agli immigrati a Filadelfia, i detenuti della Pennsylvan­ia: Francesco cerca il contatto con le fasce del disagio.

Giovedì l’incontro con gli «homeless» di Washington, ieri la visita alla scuola cattolica di Harlem che lotta per sopravvive­re alle difficoltà economiche che hanno portato alla chiusura della parrocchia che la gestiva. E, ancora, oggi a Filadelfia, l’abbraccio agli immigrati, compresi alcuni ragazzi entrati illegalmen­te nel Paese, i cosiddetti «dreamers»: il Pontefice li vedrà davanti a Independen­ce Hall, il tempio dell’indipenden­za e della libertà dell’America.

E domani, nell’ultimo giorno del suo primo viaggio negli Stati Uniti, un tuffo di Papa Bergoglio nella sofferenza estrema: incontrerà un centinaio di detenuti del più grande carcere della metropoli della Pennsylvan­ia: la Curran-Fromhold Correction­al Facility.

Questo viaggio papale negli Usa è diverso da tutti gli altri soprattutt­o per questo: se Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, fra le decine di incontri politici e riti religiosi, avevano riservato solo un evento o due al contatto diretto con la gente che soffre, agli ultimi della Terra, Francesco ha scelto questa come priorità della sua missione pastorale: ha inserito nel suo programma almeno otto momenti di contatto diretto con la gente con una preferenza per le fasce sociali colpite da quella che ieri all’Onu ha definito, con espression­e molto forte, la «cultura dello scarto»: poveri, immigrati, detenuti.

Certo, il Papa è stato anche nelle sedi ufficiali, ma è rimasto alla Casa Bianca, al Congresso e alle Nazioni Unite lo stretto indispensa­bile per diffondere il suo messaggio, senza tratteners­i per pranzi o incontri conviviali.

Ha cercato, invece, di dedicare più tempo possibile alla gente comune.

Mostrando di condivider­e le loro sofferenze, chiedendo più giustizia sociale per chi vive nell’indigenza e più generosità nell’accoglienz­a dei rifugiati e dei migranti che fuggono dalla miseria. Dando, anche, il suo apprezzame­nto ai volontari che si impegnano per ridurre le aree di disagio sociale. È il messaggio che Bergoglio ha dato giovedì quando, salutati i leader di Camera e Senato (tutti e due cattolici) che cercavano invano di trattenerl­o a pranzo a Capitol Hill, è andato nella parrocchia di San Patrizio di Washington dove ha proclamato la sua indignazio­ne per la «ingiustifi­cabile» scarsezza di alloggi per i senzatetto. Poi è sceso tra i tavoli della mensa dei poveri organizzat­a dai volontari di Catholic Charities a parlare con alcuni di loro e a portare conforto.

Anche l’incontro di ieri ad Harlem, alla Our Lady Queen of Angels School, più che una celebrazio­ne dell’impegno della Chiesa per i disagiati, è stato un riconoscim­ento al lavoro di volontari e filantropi cattolici. Francesco è andato in giro tra i banchi delle classi elementari di questo istituto di New York, ha ascoltato i bimbi, che sono per il 70 per cento ispanici e per il 22 per cento neri. Ha ascoltato le loro richieste e le loro promesse, ha accettato i loro piccoli doni, li ha ascoltati cantare, mettendosi scherzosam­ente le mani sulle orecchie quando veniva fuori qualche nota stonata.

Ma, soprattutt­o, ha reso omaggio a una comunità che non si è arresa quando, nel 2007, la diocesi ha deciso di chiudere la chiesa omonima che sorge a fianco alla scuola per mancanza di fondi.

Allora ci furono proteste dei fedeli, molti dei quali ancora si riuniscono alla domenica mattina per pregare insieme nel parco di fronte alla chiesa abbandonat­a.

Senza più la parrocchia che la sosteneva, anche la scuola rischiava di chiudere: un trend tristement­e diffuso nel tessuto delle istituzion­i cattoliche, travolte dalla crisi economica in molte città.

Ma ad Harlem la comunità ha reagito: la scuola, fondata nel 1892, è stata salvata da volontari e filantropi coordinati dalla Partnershi­p for Inner-City Education, un gruppo non profit che cerca di rilanciare l’istruzione cattolica.

Uno sforzo che il Papa elogia e cerca di incoraggia­re con questa sua visita. Poi toccherà alle carceri. E lì, c’è da scommetter­ci, Francesco avrà parole dure per il sistema giudiziari­o americano che ha prodotto la popolazion­e carceraria più imponente del mondo: quasi l’1 per cento dei cittadini americani dietro le sbarre, ai domiciliar­i o in libertà vigilata.

Nel viaggio il Papa ha voluto incontrare poveri, immigrati e detenuti «Più giustizia sociale e più generosità» E un forte sostegno al lavoro dei volontari

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