La sfida hi-tech (e interessata) dalla California
Di questo gigantesco scandalo che sta affondando il costruttore più forte del momento, la vera vittima sembra essere l’automobile tradizionale. Attraverso la gogna mediatica inflitta a Volkswagen (perché ai 40 milioni di air bag di Takata che hanno causato incidenti e morti, non è stata dedicata la stessa attenzione?), si è compreso che l’industria ha perso potere e influenza sui governi. Nella realtà tutti sono stati colpiti, nessuno risparmiato. Stanno crescendo intanto entità nuove, forti di una tecnologia senza concorrenza, in grado di lanciare strategie competitive al fine di condividere potenti interessi, desiderose di conquistare quote di mercato, oggi detenute dalle Case storiche. In queste ore c’è chi ipotizza un «attacco» al gruppo di Wolfsburg partito dalla California, dove sono allo studio auto elettriche, robotizzate da centraline che pretendono di sostituire completamente il guidatore «umano» nella gestione della sua mobilità. L’inquinamento atmosferico è solo un campo di battaglia per raggiungere il loro scopo, hanno attratto tutti i fabbricanti di auto che hanno provveduto a integrare i modelli con le applicazioni da loro suggerite, sostenendoli, di conseguenza, finanziariamente.
Tra le aziende più innovative Apple è al primo posto davanti a Samsung ma Volkswagen è, in assoluto, la società che investe di più in ricerca e sviluppo, mediamente 12 miliardi di euro ogni anno. Se la volontà è di arrivare ad abbassare i gas nocivi emessi dalle auto, perché i governi prima di occuparsi di controlli a campione su motori Euro 5, non provvedono a eliminare dalla strade i veicoli che montano propulsori Euro 0/1/2/3/4. In Italia circolano 37 milioni di unità, le vetture che montano i benzina o i diesel, di moderna costruzione ( Euro 5 ed Euro 6) non superano i 7 milioni, significa che 30 milioni di auto viaggiano con emissioni — in regola con le norme a cui appartengono — obsolete di almeno 10 anni ( gli Euro 0/1/2 anche vecchi di 20 anni). La Volkswagen, con la presunzione di essere intoccabile, ha sbagliato, ha ingannato, ha eluso le regole e sta pagando duramente, non solo in termini economici, il suo errore che, bisogna sottolinearlo, non ha provocato nessuna vittima. I costruttori tradizionali sono sotto pressione ma restano pur sempre soggetti che interagiscono con i bilanci dei vari Stati, danno lavoro a milioni di persone e permettono di migliorare la qualità della vita, basti pensare ai Paesi emergenti dove, ancora, l’auto è l’ oggetto del desiderio. Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fca, continua a sostenere che i margini, rapportati agli investimenti, sono limitati (in media i profitti sono inferiori al 5% ) e la sperimentazione di nuove tecnologie è costosa e rischiosa. Per non cadere preda dei famelici innovatori della Silicon Valley, dopo questo tsunami i costruttori tra globalizzazione e crisi si renderanno conto della necessità di coalizzarsi per difendersi, imponendo, loro stessi, delle regole che tengano conto degli interessi complessivi, considerando che il processo di costruzione e smaltimento di batterie per autotrazione è altamente, se non più inquinante, del peggior motore diesel.
La regolamentazione è stata finora una forza trainante per l’innovazione, ma per il prossimo decennio, sono stati fissati limiti così severi per ridurre sia le emissioni di post combustione (danneggiano la salute umana), sia quelle di gas serra (causano il riscaldamento globale) da risultare quasi irraggiungibili. Gli accordi, le joint venture, le partnership, fino all’integrazione paritetica (fusioni ed acquisizioni), caratterizzeranno in futuro il mondo dell’auto.