Renzi all’Onu: «Siamo pronti a un ruolo guida in Libia»
Obama parla al vertice antiterrorismo dell’Onu «Uno sforzo non solo militare ma anche ideologico»
L’Isis «in Iraq e Siria è circondato da comunità, da Paesi e da una coalizione internazionale sempre più vasta, impegnati a combatterlo e distruggerlo. Ma sarà una battaglia lunga e difficile. Questa non è una guerra tradizionale, bisogna vincere anche la battaglia delle idee»: così Obama ha aperto ieri all’Onu il summit antiterrorismo. Il premier Renzi ha messo in primo piano l’emergenza immigrazione e ha candidato l’Italia a un ruolo guida nella gestione dei fronti internazionali: dalla Siria alla Libia. Poi l’invito all’Europa a non «cedere alla paura».
Il leader Usa «Questa non è una guerra tradizionale Bisogna vincere la battaglia delle idee» I numeri Secondo l’Onu le reclute dei terroristi sono aumentate negli ultimi mesi del 70%
«Io rimango ottimista perché l’Isis in Iraq e Siria è circondato da comunità, da Paesi e da una coalizione internazionale sempre più vasta, impegnati a combatterlo e distruggerlo. E anche perché lo Stato islamico offre solo sofferenza e morte. Ma sarà una battaglia lunga e difficile: questa non è una guerra tradizionale. Per bloccare il flusso dei foreign fighters, i combattenti stranieri che continuano ad arrivare nelle regioni controllate dal «califfato», non basta prevalere sul piano militare: bisogna vincere anche la battaglia delle idee».
Aprendo, ieri all’Onu, il summit antiterrorismo fortemente voluto proprio dalla Casa Bianca, Barack Obama, pur dicendosi fiducioso, non ha nascosto le enormi difficoltà della lotta contro gruppi jihadisti che continuano a diffondersi nel mondo, spesso frammentati in piccole cellule. Una sfida micidiale che è militare, di intelligence, ma anche politica (il presidente americano, dopo il dialogo con Putin sulla Siria e lo scontro sul destino del dittatore di Damasco, ha ribadito che Assad deve andarsene perché con le sue feroci repressioni è diventato un catalizzatore di rivolte di ogni tipo), tecnologica (i social network utilizzati per reclutare in giro per il mondo giovani pronti a combattere per l’Isis) e culturale: «È soprattutto qui, e non solo nel campo della repressione armata che dobbiamo cercare di prevalere» ha detto Obama.
Già nella primavera scorsa il leader Usa aveva convocato a Washington una conferenza internazionale che, interpretata da molti partecipanti come un meeting di poliziotti e specialisti di intelligence, era stata invece impostata dalla Casa Bianca come una sorta di «brainstorming»: riflessioni sulle cose da fare per sottrarre i giovani, nel mondo arabo e anche in Occidente, alle suggestioni e all’influenza del radicalismo islamico.
Ieri all’Onu Obama ha riaperto questo dossier con toni ancor più allarmati perché, nonostante tutti gli sforzi, l’Isis ha continuato a espandere la sua influenza, anche se in Iraq ha perso una parte dei territori che aveva conquistato.
In Siria, ha riconosciuto il presidente americano nel giorno in cui in Afghanistan le forze locali, addestrate dagli occidentali, hanno perso una battaglia importante coi talebani, l’Isis prospera nel vuoto lasciato dalla guerra civile.
Ma altrettanto allarmante è quello che sta avvenendo in Occidente da dove, nonostante la mobilitazione politica e dell’intelligence, continua a partire un flusso apparentemente inarrestabile e crescente di giovani che si arruolano come volontari nelle milizie dello Stato islamico. Secondo il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon le reclute dell’esercito terrorista sono aumentate negli ultimi mesi del 70 per cento: volontari che arrivano in Siria e Iraq da 100 Paesi diversi.
Un quadro agghiacciante, nonostante l’ottimismo ufficiale di Obama. Che ha fortemente voluto questo vertice per diffondere la consapevolezza della gravità del problema e spingere gli altri Paesi ad alzare la guardia.
Sul piano numerico i risultati si vedono: la coalizione che combatte al fianco degli Usa contro l’Isis nell’ultimo anno è passata da 40 a 60 Paesi e ieri Obama ha annunciato tre nuovi ingressi: Nigeria, Malesia e Tunisia.
Ma i risultati continuano a essere inadeguati anche per la difficoltà di interpretare una sfida così complessa.
Ieri Obama ha incassato molte promesse di fare di più: da quelle del leader britannico Cameron e del premier turco al discorso pronunciato da Matteo Renzi che, promettendo un impegno totale dell’Italia, si è concentrato proprio sulla dimensione culturale di una sfida che tira in ballo l’identità stessa delle democrazie occidentali.