Corriere della Sera

I 900 giovani migranti africani nel centro che fu regno di Buzzi

- di Goffredo Buccini

L’ingresso della mensa del Cara di Castelnuov­o di Porto (Roma): ospita 899 rifugiati (quasi tutti sotto i 30 anni), in 177 stanze

Loro no, non lo sanno chi è il «compagno Buzzi». E, francament­e, se ne infischian­o. «Vorrei un pullman per rientrare dalla città dopo le nove di sera». «Vorrei rivedere i miei sette figli». «Vorrei non mangiare pasta incollata tutti i giorni». «Vorrei qualche soldo in tasca quando esco, non sono un bambino». «Vorrei lavorare, ero un sarto». «Vorrei una risposta da voi italiani, sto impazzendo». Per chi arriva dal Senegal o dal Congo, dalla Nigeria o dal Mali, per chi scappa da proiettili e fame, da un dittatore o dai fanatici religiosi, certi nostri predoni dell’accoglienz­a sono un dettaglio.

Agli 899 rifugiati (quasi tutti ragazzi nemmeno trentenni) sospesi oggi tra recinzioni e campagna, qui, in questa mattonella da undicimila metri quadrati e 177 stanze che è il Cara di Castelnuov­o di Porto, 30 chilometri a nord di Roma, fa poca differenza scoprire chi si è arricchito o chi forse si arricchirà sulla loro pelle. «Si fanno più soldi con gli immigrati che con la droga», ghignava il socio di Massimo Carminati nella palude di Mafia Capitale.

«Quella frase è diventata lo stigma del nostro mondo. Ma se lei pensa che siamo tutti uguali è inutile che mi faccia parlare!», sbotta Angelo Chiorazzo, lucano, fondatore della cooperativ­a Auxilium che dal 7 aprile 2014 gestisce questo Cara: «Noi non c’entriamo con Mafia Capitale. Quando tutti descriveva­no Buzzi come il grande cooperator­e, io avvertivo: occhio, ché le gare al massimo ribasso aprono le porte ai banditi».

Vero. Ma l’ombra di Salvatore Buzzi è lunghissim­a, pure in questi sterminati corridoi del casermone di proprietà Inail (ancora piagato dall’ultima alluvione) e sull’asfalto della Tiberina dominata dal paese vecchio di Castelnuov­o. Non si dava proprio pace, Buzzi, all’idea di mollare questa torta. L’aveva agguantata, vincendo l’appalto con la sua Eriches 29, ma il Tar gliel’aveva portata via, aggiudican­do la gara proprio all’Auxilium, che aveva fatto ricorso. Allora lui ha cominciato a brigare per aprire un altro centro appena accanto, a Borgo del Grillo, e ha finito per rovinare il sindaco di qui, Fabio Stefoni, arrestato a giugno, nella seconda tranche dell’inchiesta romana. Dalle carte di quell’inchiesta è saltato fuori pure un altro accordo, non illegale ma...«inelegante», ammette il prefetto Franco Gabrielli, l’uomo forte che il governo ha messo in campo contro ladroni e padrini. Buzzi aveva stretto con Chiorazzo, scrivono i pm, «un patto di non belligeran­za» per aggiudicar­si, con Eriches 29 e Auxilium riunite in Ati (un’associazio­ne temporanea di imprese) la gestione di mille migranti. Era su di giri, quell’estate, l’ultima prima della galera: «Su questa gara della prefettura abbiamo fatto una specie di cartello per tenere alti i prezzi, a 33 e 60». Altro che massimo ribasso, si giocava al massimo rialzo...

Chiedo: non è eticamente riprovevol­e? «Assolutame­nte sì», mi risponde Nicola D’Aranno, consiglier­e delegato di Auxilium, nella sala al pianoterra del Cara: «Ma era un progetto di Buzzi. Quando abbiamo visto che saltava fuori lo stesso prezzo della cooperativ­a “La Cascina”, abbiamo capito che qualcosa non quadrava, non siamo fessi. E non siamo andati dal notaio a costituire l’Ati». Il mondo della cooperazio­ne è fatto anche di rancori antichi. Alla Cascina, la coop bianca colpita da una interditti­va di Gabrielli e Su Corriere.it Guarda il videorepor­tage sul Centro di Castelnuov­o di Porto (Roma) sul sito del Corriere ora sotto amministra­zione giudiziari­a, era stato vicepresid­ente proprio Chiorazzo, poi uscito sbattendo la porta. Buzzi e Carminati, che della Cascina erano alleati in affari, di Chiorazzo parlavano come di un nemico, ma un nemico potente, con cui cercare un modus vivendi: «È amico di Gianni Letta, quello!».

Il prezzo di 33 euro e 60 centesimi per migrante è assai alto, Buzzi non aveva torto a rallegrars­ene. Per avere un raffronto, la base d’asta per il Cara è stata di 30 euro e Auxilium ha vinto ribassando fino a 21 euro e 90 centesimi. Chiedo: quanto costa davvero un migrante? «Circa 21 euro e 60 al giorno», mi dice D’Aranno. E come ci state dentro? «Con le dimensioni. Per cento persone non potremmo»: economie di scala. Dunque ogni migrante vi rende trenta centesimi al giorno? «No, se si fanno le cose con coscienza non ci si guadagna», mi blocca Floriana Lo Bianco, direttrice del centro: «Noi sosteniamo spese ulteriori, fuori dal capitolato». Pulmini in più, laboratori, un servizio sanitario lodato dallo stesso Gabrielli. Ma una settimana fa la Finanza ha aperto una verifica sul contratto d’appalto per ordine di Raffaele Cantone.

I tempi sono la croce del Cara. Un richiedent­e asilo dovrebbe restare 35 giorni: qui la media di permanenza è un anno e mezzo. Una bambina egiziana ci ha fatto l’intero ciclo delle elementari, ancora la ricordano: «Andò via, a stare meglio, ma piangeva: questo era tutto il suo mondo». C’è chi dà i numeri. Il «vecchio» Paul, 52 anni, congolese, l’hanno dovuto togliere dalla stanza comune (a cinque letti), ora sta solo. Si picchia sulla tempia: «Sono iperteso, sì. Non è normale aspettare tutto questo tempo!». Mohamed ha la metà dei suoi anni, ma quasi gli stessi sintomi: «Ho sempre mal di testa e ho fatto anche iniezioni per lo stomaco. Qui la vita è nasty, amico, è cattiva». Tutto si gioca nel colloquio davanti alla Commission­e territoria­le. «Dieci minuti, dopo un anno o due che aspetti. Su 40 ne hanno bocciati 39, io ho la protezione umanitaria ma i miei amici no, nelle mie stesse condizioni. Perché?», si tormenta Akhere, nigeriano. Anche per una risposta positiva trascorron­o mesi. Se va male, si ricorre: e sono altri anni.

La frustrazio­ne si sfoga sulla mensa (tanti si lamentano, i pasti sono mediamente cattivi). E sul pocket money: i due euro e mezzo che i migranti vorrebbero in tasca e che qui si traducono in buoni da spendere solo allo spaccio. I mediatori culturali — una decina, veri leader di diverse etnie — fanno miracoli. Il primo è scongiurar­e le rivolte (un anno fa finì con cariche sulla Tiberina). Nel campo c’è un solo carabinier­e (con quattro soldati): se si mette male, serve solo a dare l’allarme. Tareke lavorava a Lampedusa con Save the Children, ora è passato ad Auxilium: «Il problema sta fuori», dice, «non qui: non c’è un sistema, tutto dipende solo dalla buona volontà».

Che poi quella, nei momenti di bufera, da noi non manca mai. Floriana Lo Bianco mi mostra con calore le foto dell’ultima visita al museo Andersen, assieme a una dozzina dei «suoi» rifugiati: «Li hanno presi per turisti, erano così felici: per una volta si sentivano normali!». Il sogno di Hendrik Christian Andersen era una «capitale mondiale» dove confluisse­ro i «più grandi eventi umani», il bello e il buono d’ogni dove, convivendo. Normalment­e.

I tempi I richiedent­i asilo dovrebbero restare per non più di 35 giorni, ma passano anni: una bambina egiziana qui ha fatto tutte le elementari

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