La controffensiva per fermare i talebani
Dopo la presa da parte degli insorti della città-chiave di Kunduz gli Usa lanciano i raid aerei Ma i guerriglieri islamici sfidano direttamente l’Isis e si dicono determinati a conquistare Kabul
Scatta la controffensiva delle forze militari afghane sostenute dai jet Usa per scacciare le milizie talebane che lunedì mattina presto si erano impadronite della città di Kunduz. Ieri sera combattimenti violenti stavano investendo la zona dall’aeroporto, dove sono rifugiati alcuni migliaia di filo governativi con le loro famiglie. «Speriamo che i rinforzi da Kabul arrivino presto. Ma i talebani hanno distrutto sezioni della provinciale che arriva da Baghlan», dice dalla sacca il vice governatore Abdullah Danishy.
I raid americani sono iniziati ieri all’alba. Ma non è facile dall’aria distinguere le unità talebane che si muovono con agilità nell’area urbana confondendosi tra le case. Nel centro posti di blocco volanti ed edifici governativi in fiamme offrono scenari di complessa guerriglia urbana. Probabilmente ci vorrà tempo per sbloccare la situazione. La regione interessata dai combattimenti è abitata da oltre un milione di persone. Confusi i bilanci delle vittime. Funzionari filo governativi parlano di un centinaio di guerriglieri uccisi. Ma i talebani negano e parlano di pochi morti tra i loro ranghi. Dall’ospedale locale di Medici Senza Frontiere segnalano oltre 170 feriti curati in due giorni, tra cui una cinquantina di bambini.
Quel che è certo è che l’avanzata talebana mette in scacco il governo afghano. Sono passati solo 9 mesi dal ritiro delle unità combattenti del contingente Nato-Isaf, eppure mai come adesso i 14 anni di sforzi per combattere l’estremismo islamico modello pashtun seguiti all’invasione del novembre 2001 sono in dubbio. Un colpo gravissimo per il presidente Ashraf Ghani: solo un anno dopo la nomina si scopre fragile, ancora dipendente dagli aiuti americani.
Al contrario, i talebani paiono più forti che mai. Le rivelazioni a metà estate circa la misteriosa morte del loro leader storico, il mullah Omar, assieme alla crescita della penetrazione di Isis tra i loro militanti parevano mostrare debolezze strutturali e gravi divisioni interne. La conquista di Kunduz cambia le carte. E’ la quinta città del Paese e uno degli snodi stradali e commerciali più importanti del nord. Va detto che non è un fulmine a ciel sereno. Dalla scorsa primavera le formazioni talebane hanno concentrato i loro combattimenti nelle regioni settentrionali e allargato la presenza sia nel Sud che attorno a Kabul e lungo la frontiera pachistana a Est. Lo stesso vale per ampie aree che sino a due anni fa erano sotto il controllo del contingente italiano basato a Herat. Pure, la gravità della presa di Kunduz sta nel fatto che si tratta del primo capoluogo caduto nelle loro mani (era stata la loro ultima roccaforte a capitolare il 26 novembre 2001 ). Non è il solito blitz mordi e fuggi. E’ stata un’operazione articolata, con truppe motorizzate operanti da più direzioni. Un successo per il nuovo leader talebano, mullah Akhtar Mansour, che sfida Isis e si dice determinato a prendere Kabul. L’altro ieri i suoi uomini hanno fatto irruzione nel centro città, liberato oltre 600 prigionieri dal carcere (tra cui molti talebani), occupato caserme e centrali di polizia. Una parte della popolazione li ha accolti tra gli applausi. I motivi sono noti: chi si oppone rischia la decapitazione, ma tanti sono stanchi di funzionari corrotti, nepotismi e dell’inefficienza del governo. Altri hanno cercato rifugio nelle campagne, ma le strade intasate di profughi sono insicure.