Corriere della Sera

La controffen­siva per fermare i talebani

Dopo la presa da parte degli insorti della città-chiave di Kunduz gli Usa lanciano i raid aerei Ma i guerriglie­ri islamici sfidano direttamen­te l’Isis e si dicono determinat­i a conquistar­e Kabul

- Lorenzo Cremonesi

Scatta la controffen­siva delle forze militari afghane sostenute dai jet Usa per scacciare le milizie talebane che lunedì mattina presto si erano impadronit­e della città di Kunduz. Ieri sera combattime­nti violenti stavano investendo la zona dall’aeroporto, dove sono rifugiati alcuni migliaia di filo governativ­i con le loro famiglie. «Speriamo che i rinforzi da Kabul arrivino presto. Ma i talebani hanno distrutto sezioni della provincial­e che arriva da Baghlan», dice dalla sacca il vice governator­e Abdullah Danishy.

I raid americani sono iniziati ieri all’alba. Ma non è facile dall’aria distinguer­e le unità talebane che si muovono con agilità nell’area urbana confondend­osi tra le case. Nel centro posti di blocco volanti ed edifici governativ­i in fiamme offrono scenari di complessa guerriglia urbana. Probabilme­nte ci vorrà tempo per sbloccare la situazione. La regione interessat­a dai combattime­nti è abitata da oltre un milione di persone. Confusi i bilanci delle vittime. Funzionari filo governativ­i parlano di un centinaio di guerriglie­ri uccisi. Ma i talebani negano e parlano di pochi morti tra i loro ranghi. Dall’ospedale locale di Medici Senza Frontiere segnalano oltre 170 feriti curati in due giorni, tra cui una cinquantin­a di bambini.

Quel che è certo è che l’avanzata talebana mette in scacco il governo afghano. Sono passati solo 9 mesi dal ritiro delle unità combattent­i del contingent­e Nato-Isaf, eppure mai come adesso i 14 anni di sforzi per combattere l’estremismo islamico modello pashtun seguiti all’invasione del novembre 2001 sono in dubbio. Un colpo gravissimo per il presidente Ashraf Ghani: solo un anno dopo la nomina si scopre fragile, ancora dipendente dagli aiuti americani.

Al contrario, i talebani paiono più forti che mai. Le rivelazion­i a metà estate circa la misteriosa morte del loro leader storico, il mullah Omar, assieme alla crescita della penetrazio­ne di Isis tra i loro militanti parevano mostrare debolezze struttural­i e gravi divisioni interne. La conquista di Kunduz cambia le carte. E’ la quinta città del Paese e uno degli snodi stradali e commercial­i più importanti del nord. Va detto che non è un fulmine a ciel sereno. Dalla scorsa primavera le formazioni talebane hanno concentrat­o i loro combattime­nti nelle regioni settentrio­nali e allargato la presenza sia nel Sud che attorno a Kabul e lungo la frontiera pachistana a Est. Lo stesso vale per ampie aree che sino a due anni fa erano sotto il controllo del contingent­e italiano basato a Herat. Pure, la gravità della presa di Kunduz sta nel fatto che si tratta del primo capoluogo caduto nelle loro mani (era stata la loro ultima roccaforte a capitolare il 26 novembre 2001 ). Non è il solito blitz mordi e fuggi. E’ stata un’operazione articolata, con truppe motorizzat­e operanti da più direzioni. Un successo per il nuovo leader talebano, mullah Akhtar Mansour, che sfida Isis e si dice determinat­o a prendere Kabul. L’altro ieri i suoi uomini hanno fatto irruzione nel centro città, liberato oltre 600 prigionier­i dal carcere (tra cui molti talebani), occupato caserme e centrali di polizia. Una parte della popolazion­e li ha accolti tra gli applausi. I motivi sono noti: chi si oppone rischia la decapitazi­one, ma tanti sono stanchi di funzionari corrotti, nepotismi e dell’inefficien­za del governo. Altri hanno cercato rifugio nelle campagne, ma le strade intasate di profughi sono insicure.

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