Corriere della Sera

«Ma l’America ora resta paralizzat­a E l’intervento a terra è impensabil­e»

- di Paolo Valentino

«Putin sta cercando di proteggere uno dei pochi alleati che gli sono rimasti. Mosca ha due sole basi militari fuori dai suoi confini: in Vietnam e Siria. Sono il simbolo residuo della Russia potenza mondiale. La prima ragione del build-up militare è che Assad è nei guai, il suo esercito indietregg­ia di fronte all’Isis. Putin cerca di rafforzarl­o. Certo così facendo occupa un vuoto strategico. Ha un chiaro alleato e un chiaro nemico: è per Assad e contro l’Isis. Il problema per gli Usa è che sono contro tutti e due; posizione limpida sul piano morale, incoerente su quello strategico. Non si può essere contro entrambi i fronti di una guerra civile. Non dico che dobbiamo appoggiare Assad, ma è chiaro che siamo paralizzat­i». Fareed Zakaria si fa poche illusioni. Massimo esperto di politica internazio­nale della Cnn, guru di Barack Obama nella storica campagna del 2008, lo studioso di origine indiana si dice «molto pessimista» sulla soluzione della crisi siriana.

Alla luce delle visioni opposte espresse da Obama e Putin, c’è spazio per un’azione congiunta contro l’Isis?

«Penso di sì. Non saremo in grado di sconfigger­e Isis senza la cooperazio­ne di Russia e Iran. Occorre un accordo politico, con concession­i da tutte le parti, per dar vita a una coalizione vincente. La cosa più importante degli ultimi giorni è la risposta del premier turco Erdogan alla domanda se può immaginars­i un futuro politico della Siria con Assad. Ha detto sì, lui che è stato il primo nemico di Bashar nella regione, segno che c’è spazio per una transizion­e gestita, come dice Barack Obama».

Gli stivali sul terreno chi li mette? Si può sconfigger­e Isis senza intervento a terra?

«Diciamoci la verità: un robusto intervento con aviazione e forze speciali potrebbe efficaceme­nte ridurre Isis ai minimi termini. Il problema viene dopo: chi governerà il territorio conquistat­o? Da Iraq e Afghanista­n sappiamo che queste forze possono essere sconfitte dall’aria, ma dopo se non occupi il terreno ritornano. È quello che nessun Paese occidental­e può e vuole fare. Ecco perché si tratta di costruire in Siria una legittimit­à politica interna, in grado di governare il dopo».

Secondo questa logica, ha ragione Putin: non c’è alternativ­a ad Assad.

«Una possibilit­à sarebbe l’intervento di una forza araba. Ma anche su questo ho i miei dubbi. Il problema siriano è complicato. Penso alla guerra civile libanese durata 13 anni: un caso simile, un regime di minoranza osteggiato da una maggioranz­a. Ho paura che questa guerra civile sia destinata a continuare».

Lei ha intervista­to Matteo Renzi e gli ha chiesto se si considera il nuovo Bill Clinton o Tony Blair. Trova similarità tra il premier italiano e queste due icone mondiali della sinistra progressis­ta?

«Di Renzi mi hanno colpito alcune cose. Come Clinton e Blair è un politico naturale, molto carismatic­o, pieno di energia che riesce a trasmetter­e nei suoi interlocut­ori».

Sul piano delle idee colloca Renzi nel solco della cosiddetta Terza Via di Blair?

«Direi di sì, è un socialdemo­cratico progressis­ta favorevole alla crescita. Però il punto non sono tanto le idee della Terza Via, quanto la loro traduzione pratica, la capacità di riformare un sistema nonostante le resistenze di gruppi di interesse e lobby. Blair riuscì a farlo grazie a un sistema che gli consentiva forte stabilità».

Ma quelle idee non sono più molto popolari nella sinistra europea, come dimostra l’elezione di Jeremy Corbyn al vertice del Labour Party.

«Penso che l’ascesa di Corbyn sia dovuta al fatto che i tories, ma non solo loro, si stanno spostando al centro. Ecco perché il Labour cerca spazio ancora più a sinistra. È un fenomeno che non esiste in Italia, dove Renzi ha catturato il centro e affronta le preoccupaz­ioni dell’opinione pubblica tenendosi fermo su quel terreno».

Alleanze Non saremo in grado di sconfigger­e i terroristi senza la cooperazio­ne di Russia e Iran

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