Gli anti trivelle Dieci Regioni chiedono il referendum. Il nodo dell’indipendenza energetica
L’appuntamento è per questa mattina, alla Corte di Cassazione di Roma. I rappresentanti di dieci Regioni italiane — ieri la pattuglia delle prime otto è cresciuta in extremis con il sì di Campania e Liguria — depositeranno la richiesta di referendum nazionale abrogativo per alcune parti dell’articolo 35 del decreto legge sviluppo e dell’articolo 38 dello sblocca-Italia. Le norme, cioè, che nelle intenzioni dei governi che le hanno ideate (Monti e Renzi) avrebbero dovuto spingere la produzione di petrolio e gas nazionali, ammorbidendo il divieto di esplorazione marina entro le 12 miglia e dando allo Stato il potere necessario per le autorizzazioni.
La richiesta di referendum — oggi è l’ultimo giorno per presentarla e secondo la Costituzione sono sufficienti cinque Regioni — sarà il punto di partenza di una procedura che dopo il passaggio dalla Corte Costituzionale (sentenza attesa entro il 10 febbraio) si potrebbe concludere con la chiamata degli italiani a una consultazione popolare a suo modo storica, più o meno a cavallo tra metà aprile e metà giugno. Un evento paragonabile ai due che nel 1987 e nel 2011 (dopo i disastri di Chernobyl e Fukushima) segnarono la fine del nucleare italiano. Perché, in fondo, non bisogna nasconderlo: il referendum voluto dalle Regioni, sostenuto da alcuni partiti o parti di essi (Pd, M5s, Forza Italia) e dagli ambientalisti dei comitati «no-triv» — no alle trivelle — avrà il significato di un verdetto sulla produzione di petrolio e gas in Italia. Se i cittadini decideranno per l’abrogazione di quelle norme sarà bocciato un cardine della «Strategia energetica nazionale», nella parte che punta all’uso e allo sviluppo di risorse interne per diminuire la dipendenza dall’estero, spingere gli investimenti, l’occupazione e gli incassi (tasse e royalties) per il Fisco.
Lo scenario è complicato: Regioni (non tutte) contro lo Stato centrale; l’anima «verde» del Pd (con i 5 Stelle) contro la linea della maggioranza del partito; ambientalisti contro compagnie petrolifere. A muovere le Regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto) sono motivazioni tutto sommato simili. C’è chi prosegue su una consolidata linea «green» come la Puglia di Michele Emiliano (eletto col sostegno Pd) e chi risponde a promesse elettorali che non può eludere dopo la tornata della scorsa primavera. Ci sono eccezioni: la Sicilia del pd Rosario Crocetta, ad esempio, non si è unita per pochi voti al trend generale. L’ex sindaco di Gela (sede di raffineria, e giacimenti) teme di mettere in discussione gli accordi con l’Eni, e le ricadute su occupazione e presenza industriale. L’Emilia-Romagna del pd Stefano Bonaccini, più allineata, non crede al referendum e cerca di mediare proponendo una revisione dell’articolo 38. Uno dei nodi principali sta lì: l’interesse non proprio ambientalista delle Regioni a riprendersi la fetta di potere sulle questioni energetiche che lo sblocca-Italia ha tolto loro, rimettendo in primo piano il governo nelle decisioni strategiche. Un conflitto sul quale le affinità di partito tendono ad attenuarsi. Restano confinate nel dibattito le questioni strategiche alle quali una politica energetica dovrebbe rispondere. Difficile pensare che ridimensionare l’industria petrolifera nazionale a favore delle rinnovabili risolva problemi storici. Petrolio, gas e carbone coprono più dell’80% dei consumi energetici italiani. Una buona fetta di rinnovabili è composta da vecchio idroelettrico, che non ha prospettive. In Basilicata c’è il maggior giacimento petrolifero europeo di terraferma, ma l’Italia dipende comunque per il 77% dall’estero (e per l’88% per il gas) quando l’Europa è al 53%. La dipendenza dalla Russia è un’arma a doppio taglio. Il primo fornitore di greggio è l’Azerbaigian, non proprio una democrazia compiuta. Finora la politica energetica italiana è stata decisa con atti amministrativi (chi ricorda il Cip6/92?) o referendum. Visti gli esiti forse servirebbe qualcosa di più. In mare La piattaforma petrolifera «Vega Alfa» nel Canale di Sicilia Petrolio, gas e carbone coprono oltre l’80 per cento dei consumi energetici italiani. Tra le rinnovabili, l’idroelettrico copre la fetta più ampia L’Italia dipende per il 77% del fabbisogno energetico dall’estero (88% per il gas), l’Europa è al 53%. Il petrolio viene per lo più dall’Azerbaigian
Alleanze trasversali Pezzi di Partito democratico e Forza Italia, ambientalisti e grillini: la strana alleanza contro il progetto di Roma per produrre più gas e petrolio