Corriere della Sera

AstroSaman­tha e l’acqua su Marte «Sfiderei i rischi e andrei lassù»

- Stefania Ulivi

«Mi limito a citare le previsioni della Nasa che indicano come data gli anni dal 2030 in poi». Samantha Cristofore­tti, astronauta dell’Esa, capitano pilota dell’Aeronautic­a Militare e protagonis­ta della missione dell’Asi Futura che l’ha portata 199 giorni nello spazio, non si sbilancia in previsioni sulla tempistica dell’approdo dell’uomo su Marte. Ma commenta con entusiasmo l’annuncio del ritrovamen­to dell’acqua salata sul pianeta rosso. L’occasione, ieri a Roma, l’anteprima organizzat­a all’Agenzia spaziale italiana di Tor Vergata di The Martian, il film di Ridley Scott in uscita domani per la Twentieth Century Fox con Matt Damon nei panni dell’astronauta e botanico Mark Watney. «Sapere che c’è acqua salata su Marte incoraggia l’esplorazio­ne marziana. Le missioni future diventano meno costose e dunque più realistich­e: si potrà pensare allo sfruttamen­to delle risorse in situ per il sostentame­nto degli astronauti. E alimenta anche due nostre ossessioni». Quali? «La nostra continua ricerca della vita oltre la Terra, anche se stiamo parlando di forme di vita molto elementari. E la nostra ossessione di trovare un altro pianeta in cui vivere». Il cinema sta tornano alla scoperta dello spazio. Di «Gravity» disse che la faceva sorridere. «In quel film era realistica la rappresent­azione della stazione spaziale, il resto molto meno. The Martian mi sembra lo sia soprattutt­o nel mostrare le competenze degli astronauti e il grande lavoro di squadra di ogni missione». Mostra anche la solitudine nello spazio. Lei l’ha patita? «Noi eravamo in sei. I momenti di solitudine in verità te li dovevi creare». Il protagonis­ta di «The Martian» diventa insegnante, spiega ai suoi allievi che il compito degli astronauti è affrontare nuovi problemi e trovare soluzioni. «Mi sembra corretto. Mi piace parlare delle esplorazio­ni spaziali come di un viaggio collettivo che riguarda noi scienziati in primo luogo ma che è un’avventura che deve coinvolger­e tutti». Lo spazio è tornato sinonimo di nuova frontiera. Perché? «Mi sembra ci siano dei cicli, dopo periodi in cui ci si concentra su cose più frivole si sente il bisogno di guardare lontano». Lei ci andrebbe su Marte? «Certo non con una missione improvvisa­ta. Ma la risposta è sì, anche se esistesse un margine di rischio».

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